Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Quattro donne, quattro situazioni di partenza differenti, quattro mogli rimaste vedove nella stessa occasione (qualsiasi parola in più è spoiler!), quattro caratteri molto diversi che uniscono - pur se con qualche perplessità iniziale – le loro forze per arrivare ad uno scopo ben preciso: compiere il colpo grosso che era rimasto solo sulla carta.
Dopo la meravigliosa trilogia sul “corpo” (martoriato dalla fame, dalla mania del sesso, dalla violenza razzista), il grandissimo Steve McQueen ci prende abbastanza in contropiede e firma un notevole action-thriller tutto al femminile. Noi ingenuamente avevamo pensato che il suo campo prediletto fosse il drammatico, invece tira fuori una storia degna degli autori specialisti del genere e devo dire che non se la cava affatto male, come purtroppo ho letto qui e là. Non è che avessi consultato molte recensioni e giudizi (non leggo quasi mai nulla prima di vedere un nuovo film, e in verità non leggo neanche più nulla dopo, avendo esaurito la mia spinta emotiva) e mi sono recato in sala un po’ prevenuto. Ebbene, sono in completo disaccordo con chi non ne ha scritto bene. Tra l’altro, in un certo qual modo il regista non tradisce neanche l’argomento del “corpo”, perché ugualmente in questa occasione ci mostra come le forti protagoniste femminili siano state colpite, oltre che nell’intimo affettivo e familiare, anche nel fisico, perché tradite, perché maltrattate, perché picchiate, perché fisicamente minacciate.
È un giallo totalmente al femminile quindi, dove le quattro donne protagoniste compiono gesta che non ci saremmo mai sognati di vedere realizzate dal cosiddetto sesso debole. Dopo un incipit magistralmente montato alternando l’antefatto (che causa le vicende che ne seguono) e le immagini di quattro coppie affiatate e innamorate (ma a volte ingannate dai loro uomini), McQueen dà il via ad un film che parte piano, quasi in sordina, come un thriller qualsiasi, quasi come un b-movie, ma il susseguirsi dei fatti - sempre più sorprendenti - lo trasforma un film d’azione con discreti colpi di scena, fino ad arrivare nella dirittura finale ad un vero coup de théâtre davvero inaspettato, che capovolge totalmente la situazione. Un vero finale pirotecnico.
Tutto si svolge nella città che è stata l’emblema, nella realtà e nella finzione di una serie infinita di film, del gangster-movie: Chicago, dove due uomini politici in concorrenza– che ambiscono e diventare assessore al 18° distretto – sono entrambi legati mani e piedi alla criminalità locale. Argomento ben sfruttato e ripetuto nel corso degli anni dal cinema americano e non solo. L’intreccio politica-criminalità viaggia sempre su un equilibrio precario e quando succedono gli imprevisti solo l’esperienza dei vecchi politici riesce a tenere la barra dritta e permette sagge soluzioni e compromessi adeguati: i politici hanno bisogno di soldi e sfruttano la loro posizione per proteggere i boss del posto scambiandosi i favori ma solo l’ingordigia e la prepotenza dei giovani politicanti può rompere quell’equilibrio. I due rivali delle imminenti elezioni non si risparmiano minacce velate, pensando che la partita sarà sicuramente a due, mai immaginando che i piani potrebbero fallire perché un manipolo di donne determinate faranno saltare il banco.
Quattro donne, quattro mogli rimaste sole, quattro caratterini pronte a tutto: a prima vista chi tiene le redini è Veronica, una superlativa Viola Davis, attrice sempre pronta a qualsiasi tipo di ruolo (ma basta farla piangere lacrime e muco ad ogni film!!!! perbacco! ma offritele altro, dal momento che è così brava!), nel personaggio che nella situazione gode più agio, con una casa lussuosa e una borsa piena di soldi. Al contrario delle altre che, più o meno, sono nei guai economici e sull’orlo del fallimento finanziario, oltre a quello familiare dopo la morte dei loro mariti. È difficile comunque fare una classifica per importanza di ruoli e bravura delle attrici: la statuaria Elizabeth Debicki è Alice, tosta come una noce di cocco, ben lontana dal tipo algido con cui si è rivelata in precedenza e alla distanza si rivela un’attrice di tutto rispetto; Michelle Rodriguez è Linda, grintosa e muscolare come sempre, imbronciata nella sua bellezza latina e disposta a tutto pur di riavere il suo negozio compromesso dal marito. E se una delle quattro vedove si defila presto, per un motivo che costituirà il colpo di scena determinante del finale, ecco apparire un altro personaggio femminile di forte impatto nella banda delle scatenate donne, Belle, interpretato dalla esplosiva Cynthia Erivo, il cui sguardo volitivo e il suo fisico scattante la fanno entrare di diritto tra le protagoniste della trama. Quattro donne, quattro situazioni di partenza differenti, quattro mogli rimaste vedove nella stessa occasione (qualsiasi parola in più diventa spoiler!), quattro caratteri molto diversi che uniscono - pur se con qualche perplessità iniziale – le loro forze per arrivare ad uno scopo ben preciso: compiere il colpo grosso che era rimasto solo sulla carta, descritto analiticamente nell’agenda chiusa nella cassaforte di Harry, il marito della scatenata Veronica.
Quindi i maschietti (maschietti sì, defilati dietro le quattro potenti figure descritte): Liam Nesson, che a 66 anni suonati fa ancora il giovanotto, ci sorprende in un ruolo di delinquente e non di giustiziere e che, pronti via, ci appare nell’incipit descritto all’inizio che bacia voluttuosamente (!) la moglie Veronica; Colin Farrell sta crescendo e perciò cominciano ad arrivare (come ne Il sacrificio del cervo sacro) i primi ruoli da uomo maturo: appena ingrigito alle tempie si veste da uomo politico irruente e affarista che gli calza a pennello; Robert Duvall, sempre sulla breccia, che deve frenare gli ardori del figlio che vuole essere eletto, e dimostra alla sua maniera come erano i politici di una volta: accorti e sufficientemente razzisti; ed infine Daniel Kaluuya, che tolti i panni del bravo giovine sa usare quella faccia da bravo ragazzo per indossare quelli del braccio violento del boss: spietato e dalle maniere spicce trova in Veronica (e chi sennò?) l’ostacolo giusto per farsi del male.
Steve McQueen non avrà ricalcato la pista che lo ha reso celebre ma ha girato una eccellente opera, molto ma molto ben congegnata, con riprese che dimostrano il suo naturale talento di grande artista delle immagini. La fama che si era costruita nei precedenti film e nella sua vita professionale precedente, quella di visual artist, qui è intatta ed efficacissima. Perfetta la sua regia, perfetto il suo modo di fotografare i piani medi e soprattutto i primissimi piani, quelli particolarmente che premiano la grande espressività della migliore Viola Davis: l’occhio appena lucido di lacrime trattenute, lo sguardo silenzioso e carico che urla vendetta o rabbia o delusione stupefatta, i piccoli movimenti del viso che recitano da soli. Uno spettacolo! Lei afferma: “McQueen mi ha trattata come un’atleta che chiede di essere sfidata. La mia Veronica è una donna forte e vulnerabile, una donna vera. È lei la mia sfida atletica.” Tutto ciò condito da un eccellente commento musicale e da notevolissimi i brani che accompagnano alcune scene (per la terza volta incontro in un film una canzone della mia gioventù divenuta la suoneria del mio cell: A Whiter Shade of Pale, dei Procol harum).
Non è tutto perfetto, ovvio: oltre a vedere donne che compiono un'azione davvero difficile e improbabile per il gentil sesso (e qui il sessismo non c’entra nulla, è solo una faccenda fisica e di capacità criminale che prima questi personaggi non avevano o non è stata spiegata), ho notato qualche facilitazione troppo cercata e costruita nella sceneggiatura (scritta a quattro mani, quelle del regista e della brava Gillian Flynn, autrice di L’amore bugiardo – Gone Girl, Sharp Objects) al fine di incastrare le strane coincidenze della trama, cosa che in sincerità non ho apprezzato. In ogni caso politica, religione, classe, razza, criminalità e lutto miscelate per un thriller di classe e per nulla ordinario: non un film indimenticabile, intendiamoci, ma un prodotto di ottima qualità.
Bravo Steve McQueen!
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