Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Quella di ritrovarsi con le spalle al muro è una circostanza che chiunque vorrebbe evitare. Arrivati a questo punto, le alternative disponibili sono tre: arrendersi e accettare le conseguenze del caso, individuare una soluzione ragionevole, oppure reagire, ricorrendo a risorse mai sondate in precedenza. Talvolta, la condizione stessa riconduce obbligatoriamente verso un’unica scelta.
Questa contingenza è il pilone portante di Widows – Eredità criminale, l’attesissima prova del nove per Steve McQueen, tanto più stuzzicante considerando che alla sceneggiatura ha partecipato anche Gillian Flynn, la rinomata scrittrice dalle cui opere sono stati tratti il lungometraggio L’amore bugiardo – Gone girl e la serie televisiva Sharp objects.
Verrebbe da dire tanto rumore per nulla, nonostante si tratti di un’opera con una sua dignità.
In seguito all’improvvisa morte di suo marito Harry (Liam Neeson), avvenuta durante un colpo milionario, Veronica (Viola Davis) ha solo trenta giorni di tempo per restituire il maltolto a Jamal (Brian Tyree Henry) e Jatemme Manning (Daniel Kaluuya), impegnati in una tirata campagna elettorale, che li vede fronteggiare la potente famiglia Mulligan, con Jack (Colin Farrell) candidato e suo padre Tom (Robert Duvall) pronto a dar manforte.
Per riuscire nell’impresa, deciderà di architettare una rapina, coinvolgendo altre tre donne – Alice (Elizabeth Debicki), Linda (Michelle Rodriguez) e Belle (Cynthia Erivo) - che attraversano problemi non dissimili dai suoi.
Nel frattempo, il clima elettorale s’incendia e i Manning fanno terra bruciata intorno a Veronica, rendendo evidente quanto il pericolo sia incontrovertibile e letale.
Avevamo lasciato Steve McQueen sulla vetta di una salita che, in breve tempo e soli tre passi cinematografici, l’ha portato alle massime riconoscenze e visibilità, con i numerosi premi - compreso l’Oscar per il miglior film - incamerati da 12 anni schiavo.
Cinque anni dopo, lo ritroviamo alle prese con una pellicola che cambia tutte le prospettive. Rinnovarsi è un bene, così come un’azione sconosciuta ai più, ma sostenere il carico delle aspettative non è da tutti. Alla resa dei conti, il regista londinese non rientra in questa cerchia ristretta, finendo con il partorire la sua opera (nettamente) meno riuscita, non un vero e proprio passo falso, ma comunque un film destinato a essere caduco.
Segnatamente, Widows – Eredità criminale è un thriller che poggia su un doppio congegno da caper movie, per quanto poi dia maggior rilevanza al lato drammatico, disponendo sul campo una moltitudine di pedine, per la più classica scacchiera corale.
Così, al suo interno ci si ritrova di tutto, tra rapine ed elezioni, la ricerca ostentata del potere, con la violenza come arma quotidiana e privilegiata, l’elaborazione del lutto e la necessità di andare oltre le proprie possibilità, architettando un’azione mai nemmeno abbozzata in precedenza.
Quest’ultima descrizione calza a pennello pure per il film nella sua interezza, che non è per nulla compatto e nemmeno serrato, (soprav)vivendo per lo più grazie a incisioni sporadiche.
Nel suo melting pot culturale, per una volta non conta la distinzione tra bianchi e neri (per questo motivo stride ritrovare una scena gratuita e soltanto abbozzata, presente negli stessi termini anche nei coevi The hate U give e Monsters and men) che, a tutti gli effetti non crea barriere, bensì quella tra uomini (tra tutti, non se ne salva mezzo) e donne, perseguendo quindi un’altra istanza, altrettanto attuale.
Ne scaturisce una specie, ovviamente con minor malizia e contabilità dell’intrattenimento, di Ocean’s 4, che si perde nelle maglie del racconto, per poi rinvigorirsi con guizzi improvvisi, come alcuni giochi di specchi e scelte concettuali (vedi la casa di Veronica, asetticamente bianca e simile all’abitazione centrale in Shame), che ci rammentano la grandiosità visiva del regista.
Elementi che scalfiscono una struttura rodata, ma nemmeno così precisa (per un twist da dieci e lode, sopraggiungono opinabili licenze narrative), con un cast delle grandi occasioni, per quanto quasi tutti siano – per forza di cose (i minuti saranno tanti, ma corrono) - relegati ai margini. Fanno eccezione la protagonista Viola Davis, con la sua flessibilità e la capacità di essere esaustiva in ogni fase, uno spietato Daniel Kaluuya, che delinea un nero vile dalla violenza furibonda, la statuaria Elizabeth Debicki e Liam Neeson, che rovescia la sua acclarata immagine di eroe action positivo.
Preso nel suo complesso, Widows - Identità criminale fa trapelare perplessità, per il pedigree Steve McQueen ma ancora di più per il suo andamento diseguale, il suo scrutare la fauna umana (che brutto posto il mondo) per poi doversi muovere su altri frangenti, fornendo più congetture che dividendi tangibili, con un’attenzione che si sposta in maniera perpetua, riuscendo solo sporadicamente a centrare dei focus che valgano la pena di essere ricordati.
Assolutamente accettabile, per quanto in questo caso il termine lasci fermentare l’amaro in bocca.
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