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Roma

Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Roma

di pippus
9 stelle

Yalitza Aparicio

Roma (2018): Yalitza Aparicio

                                                                 

PANTA REI.

 

Ovvero il tema eracliteo del divenire in contrapposizione all’essere di Parmenide.

Tutto scorre tutto cambia, il dolore si alterna alla felicità e ciò che oggi appare irresolubile, domani potrebbe apparire ininfluente.

Il tempo scorre come il fiume per cui, afferma Eraclito, non sarà mai possibile tuffarsi due volte nella stessa acqua in quanto questa a ogni attimo occuperà spazi diversi.

In “ROMA” non mi spiace l’azzardo di convertire il fiume negli aerei che vediamo solcare il cielo (all’inizio, a metà circa e alla fine del film) e che, rievocando il viaggiare intrapreso dal regista nel corso della vita, a ogni successivo attimo occupano volumi diversi a ricordarci come tutto passi, anche il tempo con le sue vicissitudini destinate presto o tardi a dissolversi nell'oblio.

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Analisi oggettiva (forse, come a volte mi capita, non del tutto convenzionale) sulle peculiarità dell’ultimo lavoro di Alfonso Cuaròn, così diverso da tutti i suoi precedenti, così determinante per il suo “Io”, e così coinvolgente per lo spettatore (giurie comprese!)

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                                                      Dove:

 

Colonia Roma è un quartiere residenziale fondato a inizio ‘900 nella zona centrale di Città del Messico. Inizialmente riservato ai ceti benestanti con sontuosi palazzi molti dei quali in stile francese (da qui l’appellativo di “piccolo pezzo di Parigi” pur ospitando, in una delle sue piazze, una delle uniche due repliche in bronzo esistenti al mondo dell’italianissimo David di Michelangelo). Nella seconda metà del secolo conobbe un parziale declino a favore di altre zone più moderne; ultimamente parrebbe in atto un processo di rinascita volto a fargli riacquisire i vecchi fasti ponendolo di diritto tra i luoghi al top per i turisti in visita alla megalopoli.

                                    

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   Come e quando:

 

“Roma” è girato in un B/N che riporta subito alla mente le espressive immagini di Sebastiao Salgado (sugli aspetti tecnico/fotografici mi soffermerò più avanti). Questa scelta efficace e azzeccata, nel caso specifico non deve trarre in inganno; se in altri recenti casi tipo “The Artist” (giusto per accennare ad altro titolo blasonato girato in B/N), ci si riferiva a epoche in cui effettivamente tale tecnica era la norma, in “Roma” il periodo di riferimento si pone invece a cavallo tra gli ultimi mesi del 1970 e l’estate del 1971, il cinema in B/N era quindi ormai d’altri tempi!

Ho un ricordo nitido del Messico in oggetto, il Messico coloratissimo delle Olimpiadi del ’68 (dove il nero c’era, ma era quello delle Black Panthers e del pugno inguantato e alzato al cielo di Tommy “Jet” Smith e di John Carlos sul podio dei 200 mt). Oppure il Messico di due anni dopo, quello di” Mexico 70”, dove la Nazionale italiana di Riva e Rivera perse la finale contro il Brasile di Pelé per 4-1.

All’apparenza un Messico in tecnicolor in tutto o… quasi; su qualche aspetto prevaleva il grigio, e su altri, meno visibili, purtroppo prevalse il rosso del sangue!

 

Al numero 21 di un’avenida di Colonia Roma, in una casa benestante ma dall’architettura piuttosto spartana, negli stessi giorni prevalsero il bianco e il nero.  Probabilmente quelli sono i colori che il piccolo Alfonso impresse nella memoria relativamente al periodo da lui stesso definito “ la mia personale cicatrice”!

                                      

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   Cenni sintetici sugli eventi esterni:

 

    A monte:

una decina di giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi (e proprio per il timore che l’inaugurazione di queste ultime potesse risentirne) ci fu il famoso “Massacro di Tlatelolco” (noto anche come massacro della Piazza delle tre Culture), epilogo di mesi di inquetudini politiche e proteste studentesche in linea con il resto delle coeve contestazioni nel resto del mondo. In breve, la sera del due ottobre ‘68 l’esercito aprì il fuoco su chiunque si trovasse a essere in zona (le stime governative parlarono di una cinquantina di morti, l’altro versante parlò di oltre 300 vittime. Di certo tra i feriti ci fu anche la nostra giovane giornalista Oriana Fallaci che, nell’immediato, venne addirittura creduta morta e portata in obitorio)!

 

    Sul momento:

il 10 giugno ’71, proprio in occasione di una commemorazione del precedente massacro, altra giornata nera per il popolo messicano: la strage che, ricordo benissimo, fece scalpore in tutto il mondo: El Halconazo! Una vera barbarie indegna di un Paese civile! Venne ordita

(ma mai ammessa ) dal Governo avvalendosi di un gruppo paramilitare di estrema destra, “ Los Halcones” ovvero “I Falchi” (nel film tra questi vediamo Fermin) che poco dopo l’inizio della manifestazione iniziarono a sparare a caso inseguendo gli studenti (o chiunque paresse loro di sinistra) anche all’interno di negozi e persino di ospedali (e a questo fa riferimento la drammatica sequenza di Cleo con la nonna all’interno del negozio di mobili)!

 

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     Cenni sintetici sugli eventi…interni:

Trama?

Ho visto e quasi metabolizzato il lavoro di Cuaròn più volte onde meditare a fondo ogni sfumatura a iniziare dalla tipologia. E’ un film? Certamente sì, ma non nell’ortodossia del termine; lo definirei soprattutto un resoconto autobiografico di un breve ma determinante periodo della vita di una famiglia. Il succedersi di eventi drammaticamente ravvicinati occorsi a diverso titolo ai componenti, la cui trasposizione su pellicola ne diventa l’ossatura, ovvero la trama. E a conforto di questa mia tesi contribuisce anche la totale assenza di quella che normalmente chiamiamo colonna sonora. Anzi, è mia convinzione che  “Roma” sia privo di colonna sonora in quanto, semplicemente, non la può avere! L’intenzione del regista è stata (parole sue) la fedele e sincera trasposizione dei fatti senza commenti di alcun tipo, compresi quindi quelli musicali che, enfatizzando o inibendo determinati momenti (compito appunto relegato alla colonna sonora) ne avrebbero inficiato la fedeltà al vissuto. In breve, l’input per Cuaròn deve giungere allo spettatore pulito ed esente da ogni orpello volto a condizionarne la corretta e onesta informazione.

Non disdegnerei altresì considerare protagonista/i di “Roma” non uno o più personaggi in particolare, ma la stessa parentesi temporale all’interno della quale Cuaròn dedica maggiori o minori attenzioni a questa o a quella figura in misura proporzionale al coinvolgimento che le stesse hanno avuto nella cronologia di fatti così determinanti per lui e per la sua famiglia, Cleo compresa (lui stesso non si rivela né si evidenzia in modo diverso dagli altri fratelli, ma lo individuiamo in Paco grazie all’informazione  - dello stesso Cuaròn - di essere stato lui, insieme alla sorella, oggetto del salvataggio in mare da parte di Cleo).

 

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    E all’interno di questi stessi eventi…

Alcune sequenze e considerazioni (non in ordine di importanza):

 

    L’esibizione di Fermin nudo.

La “danza” di Fermin nudo col bastone della doccia ricorda l’esibizione del pavone al cospetto della femmina da conquistare. Alla componente prettamente fisica abbina anche lui, per ottimizzare le chances come il policromo pennuto, una componente verbale studiata appositamente sulla cui veridicità non potremmo di certo scommettere.

Peccato che in seguito l’etica di tale personaggio si riveli totalmente inesistente, dapprima nell’impellente quanto salvifico (per lui) “bisognino” ad hoc per defilarsi senza ritegno dalla sala cinematografica e poi, nella seconda esibizione con il bastone d’ordinanza dopo la seduta di allenamento, nel palesarsi ben peggio di quanto già non fosse apparso. Solo in seguito, nella sequenza all'interno del negozio di mobili sopra accennata, comprenderemo chi sia davvero costui e quanto poco possa aver a che fare con le eteree filosofie delle arti marziali e con uno dei suoi mentori, il simpatico e bizzarro prof Zovek.

 

E non si tratta di estrazione sociale in quanto, contemporaneamente, assistiamo a un’altra esibizione da far rivoltare nella tomba Kant col suo Imperativo Categorico; questa volta da parte di un rappresentante della borghesia, un medico di nome Antonio il quale, innamoratosi (e questo è il meno) di un’altra donna, parrebbe non avere troppe remore nell’abbandonare, oltre alla moglie, i suoi quattro figlioletti per andarsene verso altri lidi crogiolandosi nella bella vita senza altre preoccupazioni che non siano quelle volte a portarsi via mobili, e quant’altro, in presenza (calcolata e concordata a priori, credo per vergogna) delle sole domestiche e della suocera. Incredibile!

 

   Le simultanee disperazioni di Sofia e Cleo.

 

Sofia è una donna disperata ma ancora speranzosa che il suo Antonio possa ricredersi e tornare. La povera donna, mentre una sera dialoga in salotto con sua madre, tenta un’ulteriore carta invitando i quattro figli a scrivere ognuno una lettera da indirizzare al papà per ricordargli, tra le altre cose, il loro amore e il desiderio di vederlo tornare presto a casa. Nel contempo le si avvicina Cleo per renderla partecipe del tormento che le sta monopolizzando la mente, ovvero la gravidanza in corso e relativo infondato timore di essere licenziata.

Fortunatamente lo spessore morale della biochimica Sofia è ben diverso da quanto fin qui propostoci da Cuaron per la componente maschile. A dire il vero, a parte pochi casi (il fidanzato di Adela Ramon, il medico amico di Sofia e il taciturno autista), i maschi in “Roma” non fanno una gran bella figura: oltre a Fermin e Antonio abbiamo un altro bellimbusto il quale, durante i festeggiamenti di capodanno nell’ hacienda (dove assistiamo allo spegnimento collettivo dell’incendio), non ha di meglio che tentare inopportune avances con Sofia, confidando nell’ assenza del marito! Comunque, pathos alle stelle con i bambini che corrono a scrivere al loro papà mentre Cleo riceve le amorevoli rassicurazioni della sua “padrona”, la quale, non solo la conforta, ma le propone una visita di controllo da parte di una sua amica ginecologa nello stesso ospedale dove lavora quel farabutto di Antonio.

Tenera ma più drammatica la sequenza successiva con Sofia, Cleo e i bambini che, sconsolati tra i singhiozzi, (non)assaporano il gelato dopo esser venuti a conoscenza della verità nel corso della cena. Sono al mare, seduti su una struttura in cemento e sordi ai rumorosi festeggiamenti per le nozze di una giovane coppia. Con movimenti meccanici portano il gelato alla bocca ma si intuisce che non ne gustano il sapore: l’aver appreso che il papà, in quegli stessi momenti, sta portando via parte dei mobili da casa e non tornerà genera in loro un tale avvilimento da inibire ogni pensiero che non sia di sconforto.

 

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Un paio di sequenze in stato di (dis)grazia fotografica (a seconda del p.d.v.)

Con l’aiuto di Ramon, Cleo raggiunge lo spiazzo in periferia dove si allena Fermin con il suo gruppo. Fotografia accuratissima in totale controluce, leggermente sovraesposta a dare l’impressione che la stessa luce, attraverso i radenti raggi solari diretti verso l’obiettivo, origini dalle nuvole di polvere. Nel corso di questa bellissima sequenza (e non solo dal p.d.v. tecnico) assistiamo alla poco felice esibizione - a cui poco sopra accennavo - da parte di Fermin. Si presume che l’episodio non sia frutto di fantasia in quanto la regia propone pari pari quanto esposto da Cleo nel corso delle sue testimonianze.

 

L’ultima sequenza, pari in drammaticità al parto di Cleo ma forse più eloquente, o comunque determinante per le future dinamiche interne tra i protagonisti:

come sappiamo, sulla via del ritorno le due donne con i quattro bambini si fermano in spiaggia e qui, complice il caso e l’infantile superficialità di Sofi e Paco, si sfiora la tragedia. La drammaticità viene avvalorata anche in questo caso da uno spettacolare controluce sovraesposto che ci permette di delineare perfettamente tutta la scala dei grigi sui protagonisti. La m.d.p. pare scivolare (credo su un mega dolly, oppure una gru, oppure un carrello anfibio o pontile appoggiato sul fondo) sul pelo dell’acqua continuando a riprendere, sempre controluce, tutta la scena del salvataggio. I flutti sovrastano l’obiettivo ma non vi è traccia di spruzzi sulla lente per cui, di certo, si è reso necessario (come anche in altri passaggi meno eclatanti) un intervento in post produzione che comunque nulla toglie al fascino tecnico della scena.

Subito dopo siamo sulla spiaggia: un “nuovo” nucleo famigliare si è formato, molto più coeso del precedente e a prova di qualsiasi umana condizione. Ed è tuttora in forze!

 

Disseminate nell’arco delle due ore troviamo altre “opere d’arte”, ma non potendole elencare tutte accennerò ad alcune:

la lunga ouverture nell’androne rivelatrice, grazie al viraggio del pavimento dall’opaco al riflettente del bagnato, del “primo aereo”

(quella degli aerei rimane forse l’unica metafora volutamente esibita, in quanto le altre sequenze, seppur tutte caratterizzate da quell’impronta artistica di cui è pregna l’intera opera, rientrano comunque a pieno titolo nel genuino realismo che Cuaròn era determinato a mantenere).

Il preciso e dettagliatissimo posteggio dell’enorme Ford Galaxi da parte del papà sotto lo sguardo estasiato della moglie, dei quattro figli e di Cleo (anche questo un segno dell’amore di cui era oggetto). Sequenza bellissima ripresa di fronte con i fari controluce, ogni piccola manovra ci viene riportata evidenziandone i dettagli: la sigaretta accesa, la radio che fino all’ultimo diffonde una delle rare musiche della pellicola, la leva al volante del cambio automatico e, in ultimo, il tocco del paraurti anteriore contro la struttura laterale, preceduto dal primo piano, quasi macro, dell’”incontro” tra la ruota anteriore e una delle biologiche mine disseminate da Borras, il cane di famiglia.

 

Il “tour” con lento movimento della mdp a 360 gradi all’interno dell’abitazione per illustrarci con dovizia di particolari la casa che,come prima accennato, non rivela peculiari eleganze architettoniche, anzi, potrebbe ricordare maggiormente un grande loft piuttosto che un palazzo d’epoca (il regista pare l’abbia ricostruita assolutamente fedele all’originale, nella stessa strada della sua infanzia e con il 70% dell’arredamento composto dai veri mobili di famiglia). Cuaròn insiste sui dettagli lasciandoci apprezzare l’originale struttura razionalista e funzionale nelle sue linee essenziali: il piano terra composto da un locale unico centrale dal quale si dipartono lateralmente gli altri locali a giorno e dal quale, attraverso la grande scala interna, si giunge a quello strano primo piano con balconata interna dalla quale si accede, sul lato rivolto all'esterno, alle varie camere da letto alternate ai servizi e ad altri locali a giorno, tutti accomunati dall’ affaccio centrale sul piano sottostante.

Dal cortile si accede invece alla dependance riservata al personale di servizio, ovvero Cleo e la sua amica Adela.

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Le motivazioni.

 

Già, perché? Ho letto di tutto sul film e su Cuaròn, sul suo desiderio di girare un film sulla sua famiglia e in particolare sul periodo riferentesi alla sua “particolare cicatrice”; sui motivi però che lo hanno indotto ad “aprirsi” al mondo su aspetti così personali abbiamo solo un laconico: “sarà la vecchiaia”!

Stando alle sue dichiarazioni, le intenzioni erano volte a un’operazione il più possibile “sterile” (ovvero immune dallo stile di altri registi) che, per sua stessa ammissione gli è riuscita solo in parte, nel senso di non essere stato in grado totalmente di evitare che il suo stesso DNA, forgiato a suon di Fellini, Rossellini, Taviani, Pasolini ecc, riuscisse subliminalmente a condizionarne le scelte. Per massima coerenza con le intenzioni, la sceneggiatura dello stesso Cuaròn, veniva proposta di giorno in giorno ai vari attori (in gran parte non professionisti; Cleo e Adela, amiche davvero nella vita, pare le abbia trovate dopo un lungo peregrinare nei villaggi “mitzechi” del territorio) dando origine in tal modo a un copione in buona parte frutto di genuine improvvisazioni che, quasi paradossalmente, sono risultate ottimali nella resa attoriale preposta a evidenziare il superamento ad ampio spettro dei traumi per tutto il nucleo famigliare. In particolare l’angoscia di Cleo che, per aver in cuor suo desiderato che la bambina non nascesse, dopo lo scampato dramma in mare si è trasmutata in desiderio per la vita e gratitudine reciproca per questi nuovi “suoi” bambini.

Ma rimane un “perché” senza risposta, ed è quello che più mi intriga!

Anche Tarantino è cresciuto senza padre, ma non tutti lo sanno e lui non ha ancora girato un film sull’argomento, né pare abbia manifestato intenzioni in tal senso.

Cuaròn invece sì, l’ha fatto! E mi viene da pensare e cercare in rete: è in vita oppure no il padre di Alfonso Cuaròn? Non ho trovato risposta a questa domanda ma... ce l’avrei su quest’altra: Alfonso era rimasto in buoni rapporti con suo padre? Poco probabile. Anzi, sono convinto del contrario!

Eh già, Cuaròn padre (Antonio nel film) non ne esce a testa alta, (men che meno Fermin, ma costui è una figura marginale e può continuare a vivere nell’ombra) e con “Roma” a livello planetario anche la sua dignità (alla memoria se tra i “fu”, oppure alla persona se tuttora tra noi) si è dissolta allo stesso livello planetario.

Poco probabile che nel ’71 il dott. Cuaròn potesse prevedere che uno dei suoi quattro pargoli diventasse un giorno il regista premio Oscar Alfonso Cuaròn, e per di più che nel 2018 costui vincesse vari premi (compreso il Leone d’Oro di venezia) con un film dove, suo malgrado, anche per lui era prevista una “particina”.

Una “particina” soft nella pellicola ma un innesco pesante per la deflagrazione che l’avrebbe coinvolto in seguito:

 

“Caro Antonio, il film termina con il passaggio dell’ultimo aereo a sottolineare che il tempo continua a scorrere, ma i ricordi, e fra questi quelli delle tue serate con la famiglia riunita davanti alla TV, indelebilmente rimarranno nella mente di chi condivideva la tua presenza.

E tu, già poco tollerante quando la tua scarpa non riusciva a evitare una delle morbide “produzioni” quotidiane di Borras, paradossalmente ora proprio in quelle ti ritrovi totalmente immerso!”

 

 

 

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