Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
L’aura che si è creata intorno all’ultima opera di Alfonso Cuarón mi permetto di dire che ha finito per offuscare il reale potenziale della pellicola. Caratterizzata da un bianco e nero dinamico, dalle plurime cromie di grigio, possiede alcune inquadrature prestigiose che indubbiamente ne arricchiscono il valore finale anche se non sono riuscita ad individuare il valore aggiunto che finisce per distinguere quelle pellicole che vengono poi considerate “capolavoro”.
L’impressione è quella che Cuarón lasci lo spettatore a debita distanza; ma piuttosto che essere incapace di farci provare le stesse emozioni, sembra proprio che il regista messicano tenga volontariamente lo spettatore esterno alle emozioni rappresentate; come quando ci si ritrova a guardare una foto del passato che non ci riguarda.
Più che una rappresentazione, Roma finisce per essere un omaggio all’infanzia di Cuarón che più passa il tempo e più continua a darmi l’impressione che il suo cinema non solo sia poco emozionale ma che ogni sua pellicola sia incapace di creare empatia con lo spettatore, finendo per essere un “prodotto” da guardare piuttosto che un’esperienza da captare.
Più che un film Roma finisce quasi per essere una mostra d’arte. Frammenti di vita, inquadrature valorizzate dal complesso bianco e nero di cui sopra, che incantano l’occhio più esigente e che sono talmente belle se prese singolarmente che, considerandole poi nell’insieme, finiscono per perdere parte del valore visivo che possiedono, indubbiamente.
Un film troppo intimo per essere compreso nella sua totalità, troppo lento per nell’esecuzione per essere apprezzato a pieno. Un film che, nonostante la molteplicità di sentimenti, non è capace di lasciarti addosso nemmeno un’emozione. Sicuramente un compito ben fatto, che possiede gli elementi caratteristici per essere apprezzato dalla critica ma, allo stesso tempo, l’ennesima pellicola che non verrà ricordata da qui ai prossimi mesi.
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