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Roma

Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film

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La recensione su Roma

di Spaggy
8 stelle

Alfonso Cuaron torna con Roma a girare in Messico dai tempi di Y tu mama tambien. Il periodo in questione è quello che va dagli ultimi mesi del 1970 ai primi mesi dell’estate del 1971 e si è a Città del Messico, una metropoli che sta vivendo importanti cambiamenti dal punto di vista urbanistico, politico e sociale. In periferia, vive una famiglia borghese, composta da madre insegnante di biochimica, padre medico, suocera e quattro bambini (tre maschi e una femmina). Tutto sembra procedere per il meglio, la coppia lavora e alla casa badano due domestiche poco più che donne, Adela e Cleo. In casa, regna sovrano il caos, complicato anche dalla presenza di un cane e di diversi uccelli tenuti nell’androne/cortile/garage. Ben presto, l’uragano che butta all’aria sentimenti e stabilità fa la sua comparsa: la padrona, donna Sofia, viene abbandonata dal marito proprio mentre Cleo, sedotta e messa incinta, è lasciata sola dal suo fidanzatino. Accettando di portare avanti la gravidanza, Cleo inizia a convivere con la figlia che tiene in grembo: pian piano, silenziosamente, instaura con lei un rapporto di silenzioso attaccamento che, nel bene o nel male, darà vita a ulteriori sviluppi, che non si raccontano per evitare lo spoiler.

Yalitza Aparicio

Roma (2018): Yalitza Aparicio

 

Tornando nel suo Messico, Cuaron porta con sé la maestria e le tecniche di ripresa apprese all’esterno. In un bianco e nero che sembra uscire fuori da un melodramma italiano con protagonista la dimenticata Yvonne Sanson, Cuaron fa gravitare e levitare la sua storia con l’assoluta poesia delle immagini. Le riprese, spesso campi lunghi che culminano in primissimi piani, sono ferme e precise: mai un movimento di camera salta all’occhio. La ricostruzione degli ambienti, degli esterni e persino dei dintorni della città è di una maniacale precisione, e azzeccata si rivela la colonna sonora, in grado di accompagnare il racconto ora con il giusto pathos ora con leggerezza: non si può non sorridere al passaggio della banda musicale, che in maniera ciclica viene mostrata sia all’inizio sia alla fine del lungometraggio per segnare i due cambiamenti nell’esistenza della casa. Forse, più che Cleo e la famiglia presso cui lavora, la vera protagonista di Roma, che deve il suo nome al quartiere in cui è ambientato e che è facilmente anagrammabile in “amor”, è la casa, quell’ambiente che con il suo caos o il suo ordine diventa metafora di equilibrio interiore. Paradossalmente, un occhio attento si accorgerà come il disordine iniziale di ogni stanza quando si vive tutti in armonia sia inversamente proporzionale all’ordine che invece si ha sul finale, quando la disarmonia dei sentimenti porta inequivocabilmente a un nuovo equilibrio: più gli spazi diventano vuoti o aperti, più i sentimenti e gli affetti si fanno sinceri. Tale osservazione trova sostegno in altri momenti, a cominciare dalle sequenze al campo di arti marziali in cui si allena il fidanzato poco affidabile di Cleo a quelle del tristemente noto massacro del Corpus Christi (quando un gruppo paramilitare, appoggiato dal governo, ha ucciso più di 120 studenti tra le strade della capitale messicana) e sulla spiaggia di Tuxpan (da manuale le sequenze tra le onde dell’oceano).

Yalitza Aparicio

Roma (2018): Yalitza Aparicio

 

Cosa ci sia di autobiografico o meno nel racconto è di difficile comprensione. Quello che è evidente è invece il grande amore che il cineasta riserva alle figure femminili che hanno di certo segnato la sua infanzia. Ma anche il grande amore per il cinema in sé, rappresentato da estratti di classici come Tre uomini in fuga o Abbandonati nello spazio. Del resto, Roma dà risalto alla memoria: il confine tra il ricordare e il dimenticare è talmente labile che anche una sola mareggiata può cancellarlo.

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