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Roma

Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film

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La recensione su Roma

di chinaski
8 stelle

Stavo leggendo I detective selvaggi di Bolaño, un libro che mi ha aperto le porte sul mondo di uno scrittore che non conoscevo, facendomi immergere fin dalle prime parole nel suo fluviale e vitale modo di narrare. E dopo 179 pagine potevo dire di essermi innamorato del libro. Protagonista nella prima parte e voce narrante è il giovane poeta Juan Garcia Madero, che vive a Città del Messico a metà degli anni settanta. E’ un diciassettenne che entra in contatto con il gruppo dei realvisceralisti, tra cui Arturo Belano e Ulises Lima. E durante una corsa in taxi, il giovane Garcia Madero, passa per il quartiere Roma Norte e in quel preciso istante qualcosa si è accesso nella mia testa, una connessione improvvisa e ho capito che avrei dovuto vedere Roma di Alfonso Cuaron, anche se e soprattutto perché non c’entrava assolutamente nulla con il libro di Bolaño. Però sapevo che dovevo vederlo.

 

Yalitza Aparicio

Roma (2018): Yalitza Aparicio

 

L’acqua su un pavimento arriva come fosse un’onda del mare, con quel ritmo, quasi ciclico. E nel suo riflesso vediamo un pezzo di cielo e la scia di un’aeroplano in esso. Perché siamo sempre qui e anche altrove. E nel mare entreremo insieme a Cleo, oltre le sue paure e il suo cordoglio. E poi ne usciremo e lei verrà abbracciata da Sofia e dai suoi figli, svelando il suo cuore e il dolore che vi è dentro e c’è una grande meraviglia nell’osservare questa scena così umana e allo stesso tempo tecnicamente, perfettamente costruita. I carrelli orizzontali seguono i personaggi e li fanno entrare nell’anima delle sequenze. Come accade prima del massacro de El Halconazo, a cui assistiamo da un punto di vista differente, come se fossimo protetti anche se non lo siamo, perché alcuni de Los Halcones arrivano anche qui e vediamo Fermin, l'amante di Cleo, puntare una pistola contro di lei, contro la donna che ha messo incinta e a cui le acque si rompono proprio in quel preciso e tragico istante. E la vita continua e prosegue, ciclica come le onde del mare. Nella sala di un’ospedale Cleo deve partorire, questa esperienza così profonda non è altro che routine per i medici e gli infermieri presenti, che fanno quello che devono fare e a Cleo è tolta qualsiasi riservatezza, qualsiasi possibilità di vivere con discrezione il suo parto e il bambino nascerà morto e i dottori cercheranno di rianimarlo con la stessa perentoria meccanicità con cui l’hanno fatto venire al mondo, quel piccolo corpo che Cleo abbraccerà per pochi attimi prima che gli sia tolto e rinchiuso in un anonimo sudario, questo è un altro momento che ti arriva dentro al cuore, che si apre e sanguina per il dolore che tante volte ci si presenta e che fa parte di quello che siamo, della nostra natura e del nostro esistere. E la vita continua, ciclica come le onde del mare. Come l’acqua gettata sul pavimento per pulire gli stronzi di un cane. 

 

Yalitza Aparicio

Roma (2018): Yalitza Aparicio

 

E il ripetersi dei giorni e delle solite cose, mentre Cleo svolge i lavori domestici per  una famiglia della media borghesia e siamo a Città del Messico agli inizi degli anni settanta e dopo un pò non ho più pensato a Bolaño perché la dolcezza e le gentilezza di Cleo mi hanno trasportato con lei, grazie anche alla raffinata padronanza stilistica di Cuaron, alle sue immagini in cui il bianco e nero freme e vibra e palpita ed è così che ci perdiamo anche noi in isole di esistenze altrui, in qualcosa che appartiene anche al mondo privato e personale del regista, qualcosa che la memoria custodisce e il cinema riscopre e trasforma e restituisce.

E i ricordi e i frammenti di questi ricordi, racchiusi negli oggetti, nei vestiti, in una sala di un cinema e poi un incendio e le fiamme e un viaggio in macchina in cui i volti si affacciano al corso del tempo da dietro i finestrini e un’esercitazione di uomini con i loro gesti codificati, in una pantomima militare che diverrà la messinscena di una atroce repressione - I momenti di intimità nella cucina fra Cleo e Adela e nella loro camera,  dove possono parlare liberamente, usando il mixteco, la loro lingua madre e i dettagli della macchina di Antonio, per entrare nello stretto ingresso di casa, i rumori, gli odori, quello che pervade i giorni perduti e ancora vivi chissà dove nella mente.

Fallimenti familiari e incomprensioni e atti di violenza e uomini in divisa e il candore e il coraggio e anche quello che ci unisce e ci fa arrabbiare e i drammi e le parentesi di allegria e la morte e quello che essa toglie perché non c’è altro modo per dare alla terra quello che un giorno ci è stato donato. E ancora il cielo, sopra i palazzi e una scia, quella di un’aeroplano, che passa lento, distante, chissà verso dove. Perché siamo qui e anche altrove. E la vita, sempre, continua.

 

 

 

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