Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film
Burning è un film sudcoreano del 2018, scritto e diretto da Lee Chang-dong.
Sinossi: Jong-su terminata l’università decide di ritornare nel sua città natale, Paju, con la speranza di poter diventare presto uno scrittore e nel mentre si mantiene con lavoretti saltuari. Un giorno durante una giornata lavorativa incontra casualmente Hae-mi, la quale durante l’infanzia viveva a pochi metri dall’abitazione di Jong-su.
I due iniziano a frequentarsi tuttavia la ragazza parte presto per l’africa e al suo ritorno presenta al vecchio amico un tale Ben, giovane rampollo borghese enigmatico e misterioso…
In ventun anni di onorata carriera cinematografica Burning è solamente il sesto film di Lee Chang-dong, un regista che ama prendersi il suo tempo visto soprattutto la tipologia di cinema che propone. Lui realizza opere che si collocano perfettamente a metà fra la poetica impegnata degli anni Ottanta alla Park Kwang-soo e la nuova ondata di registi coreani specializzati nell’affrontare un cinema di genere e sviscerarlo in tutte le sue forme; inoltre Lee Chang-dong a partire dal suo esordio, Green Fish del 1997, rimane fedele a precisi elementi tecnici e contenutistici sempre presenti nelle sue opere e Burning ovviamente non fa eccezione.
L’ultima fatica del noto autore coreano, come di consueto nel sua filmografia, inizia seguendo dettagliatamente un soggetto nella sua quotidianità; macchina da presa mano e semi-soggettive sono quindi la prassi nei primi minuti del film, restituendo allo spettatore la sensazione di assistere quasi ad un’opera neorealista 2.0, ambientata nella moderna Corea del Sud.
Contemporaneamente l’atto dell’incontrare una vecchia conoscenza del protagonista permette al regista di incominciare a tessere una ragnatela di stile melodrammatico, genere per eccellenza del cinema locale apprezzato molto da Lee Chang-dong ma da lui rivisitato con mano assolutamente personale.
Nella seconda parte del film invece assistiamo ad un drastico cambiamento di rotta con l’opera che si incanala sui binari del thriller, regalando allo spettatore una serie di sequenze si minimali ma incredibilmente evocative con una tensione palpabile ed una regia particolarmente elaborata (ci ritorneremo a breve).
Burning possiamo altresì definirlo un film esistenzialista distinto da uno sguardo attento verso le nuove generazioni, catapultate in una società frenetica e capitalista che non aspetta mai nessuno; da queste premesse si articolano una serie di elementi cardine del cinema di Lee Chang-dong, esplorati con attenzione ed eleganza.
Innanzitutto i primi due stilemi cari al regista riguardano la cosiddetta “poetica dell’intruso” ed il “passato drammatico”. Elementi riscontrabili ad esempio sia in Jong-su ed in Hae-mi.
Jong-hu dopo aver terminato servizio militare e studi universitari, ritorna nella sua città natale ma sfortunatamente non c’è nessuno ad attenderlo: la madre lo ha abbandonato da piccolo, il padre è in carcere, la sorella maggiore si è sposata e ha tagliato i ponti con la famiglia infine non ci sono amici pronti a confortarlo, lui a Paju è un vero e proprio intruso.
Discorso simile per Hae-mi, lei non ha più rapporti né con la sua famiglia né con vecchi amici.
Entrambi i ragazzi condivido pure un passato burrascoso; Il padre di Jong-su è un violento e perde spesso il controllo, motivo per cui la madre ha deciso di scappare di casa abbandonando marito e figli.
Hae-mi invece lascia intuire di essere stata una possibile vittima di bullismo o quantomeno non si è mai sentita parte di un gruppo a causa del suo aspetto fisico, infatti una volta cresciuta ha deciso di ricorrere alla chirurgia plastica con la vana speranza di farsi accettare ed essere finalmente considerata e non esclusa a priori causa poca bellezza
Burning inoltre si distingue da un arguto sguardo sociale, topos imprescindibile nella poetica di Lee Chang-dong.
Il film bisogna guardarlo con attenzione poiché molte volte è nei dettagli che l’autore lancia messaggi ben precisi e mi riferisco ad esempio alla sequenze in cui il protagonista Jong-hu sta facendo colazione e guarda il telegiornale alla tv (fuori campo sonoro) prestando parecchia attenzione ad un servizio dove si evidenzia l’aumento del tasso di disoccupazione.
In precedenza si accennava alla questione della chirurgia plastica, altro argomento scottante in Corea dove sono sempre di più i giovani che decidono di ricorrere ad interventi chirurgici con l’intento di apparire più appetibili e dunque inserirsi meglio nella società e nel mondo del lavoro; ormai l’immagine è ahimè tutto. Troviamo in aggiunta una riflessione sul netto divario fra nuovi ricchi ed i proletari, argomento caldo in Corea (chiedere al buon vecchio Bong Joon-ho)
Detto questo l’aspetto più rilevante riguarda sia lo spaesamento dei più giovani, abbandonati a se stessi ed incapaci di inserirsi in una società spietata pronta a schiacciare il singolo individuo. Il regista poi presta attenzione al concetto di sentirsi “realmente vivi” in un contesto sociale così opprimente, generando una serie di azioni e conseguenze enigmatiche e terrificanti.
Un discorso a parte andrebbe fatto sulla regia, davvero articolata ed efficace.
Come già evidenziato, nei primi minuti l’autore ricorre ad un approccio realista mostrandoci davvero molti particolari della quotidianità di Jong-hu: svegliarsi, fare colazione, andare in bagno, masturbarsi e fare sesso con la sua nuova fiamma. Quest’ultima sequenza sorprende e merita maggiore attenzione, il regista volutamente omette qualsiasi elemento di phatos ed erotismo insistendo invece sulla timidezza ed indecisione del giovane rendendo così la scena estremamente reale facendola terminare però in modo leggermente inquietante con una serie di strane soggettive di Jong-hu.
Sempre all’inizio dell’analisi si evidenziava il netto cambio di marcia avviato nella seconda metà del film, anche in questo caso le scene da citare sono davvero tante e nello specifico rammento un frammento altamente suggestivo: Jong-hu non riesce più a contattare Hae-mi, lui ha paura che la ragazza si trovi in serio pericolo e nella ricerca disperata della giovane si reca, in piena notte, nel bel mezzo di una serra vasta e abbandonata. La tensione è altissima e si taglia letteralmente con il coltello, il tutto poi è sottolineato da lente carrellate laterali unite ad una gestione sontuosa del sonoro, caratterizzato da una musica tambureggiante di matrice tribale (elemento che richiama chiaramente la giovane, la quale si era recata in Africa) mixata a rumori di animali diegetici ed extradiegetici generando un effetto overlapping notevole ed complesso.
Maestoso pure il finale; una resa dei conti secca e brutale distinta incredibilmente da un abbraccio fortemente voluto dal probabile criminale, forse contento di essere stato finalmente scoperto e “capito”.
Nota di merito in riferimento all’uso dell’ellissi e del fuori campo, marchio di fabbrica del regista.
Burning è un’opera estremamente affascinante e complessa e nonostante alcuni momenti volutamente tediosi (nella parte centrale) il film risulta essere straordinariamente dinamico e “scorrevole” sopraffatto però da una serie di archetipi, stilistici e contenutistici, consueti nel cinema di Lee Chang-dong.
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