Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film
"Burning", per citare il regista, è ricco di vuoti, che significano "il mistero dell'evolversi dell'esistenza", ma sono proprio questi vuoti, purtroppo, a ingoiarsi questo lunghissimo monolite cinematografico. Prendere un racconto (di Murakami) di sole sedici pagine e trasformarlo in un film di due ore e mezza, è un'impresa assurda: o sei in stato di grazia, ma assoluta, o allunghi la minestra in modo pretestuoso. Vince, secondo me, la seconda ipotesi: "Burning" non va da nessuna parte, vive forse nella testa del suo protagonista, un impacciato ragazzetto aspirante scrittore, che un bel giorno incontra una vecchia amica d'infanzia, che com'è come non è, lo porta a letto. Lui ovviamente se ne innamora, lei parte per l'Africa, ritorna con un terzo pretendente, ricco e vagamente psicopatico. Si crea un triangolo inutile, anche odioso, lui sempre con il broncio e figlio di contadini, è ovviamente messo ai margini. Tutto questo in almeno due ore interminabili, noiose, fredde e che hanno in una sola scena, un certo interesse. Poi c'è l'assurdo finale, che vabbé. Un film disarticolato, girato bene, (per carità, c'è del Cinema qui dentro), ma che il regista mesta e rimesta senza sapere nemmeno lui dove andare a parare. Ampiamente sopravvalutato.
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