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BlacKkKlansman

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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ShermanMcCoy

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La recensione su BlacKkKlansman

di ShermanMcCoy
7 stelle

Bianchi, neri, che differenza c'è? Buon film di Spike Lee su Ron Stallworth, primo agente nero arruolato a Colorado Springs, che negli anni '70 provò ad infiltrarsi nel Ku Klux Klan.

Bianchi, neri, che differenza c'è? Le due comunità sono chiuse nei rispettivi ghetti. Compartimenti stagni dovuti ad atteggiamenti mentali di intolleranza o rifiuto, a quartieri esclusivi monoetnici alternati a zone miste bianco-nere-ispanico-asiatiche, dove però gli "eletti" della società, a meno di un innato desiderio di scambio culturale o missione socioantropologica, non metteranno mai piede. Sempre di ghettizzazione si tratta, quando un bianco, un ispanico, un asiatico o un ebreo guarda con sospetto o disprezzo il suo vicino di altro colore. E la diffidenza è speculare, con il nero che pur ben equipaggiato a livello fisico e fallico (cosa che non esclude importanti capacità cognitive ed intellettuali) si sente costantemente bistrattato dai bianchi, reclamando pari diritti per la sua comunità di appartenenza. Ma le radici del dissidio sono più profonde di quanto la schematica ghettizzazione possa dar da pensare, nascono da una cultura sociale e famigliare tramandata dai propri avi e rinverdita dalla vita quotidiana trascorsa all'interno del proprio gruppo. Essere oggetto di un sistema normativo, politico e soprattutto mediatico che affibbia etichette a destra e a manca certo non aiuta a far conoscere chi ha avuto una storia diversa dalla nostra: una storia che potrebbe anche non piacerci, ma che sarebbe bene conoscere almeno un po' per non cedere automaticamente al pregiudizio.

La comunità può essere bianca o nera e, perché no, proletaria o borghese, nullatenente o aristocratica, innocente o criminale, religiosa, atea, agnostica. Le differenze ci sono a tutti i livelli, anche sul piano umano e comportamentale: non di rado capita di vedere dei senzatetto (così come dei capi d'azienda) assolutamente rispettabili contrapposti a loro consimili che invece il rispetto e la dignità sembrano non averli mai conosciuti. È un concetto che va oltre il colore della pelle, l'abbigliamento, i comportamenti di routine e il linguaggio correntemente usato da un certo gruppo etnico o da una certa classe sociale: le differenze tra gruppi esistono, ma troppo facilmente (e stupidamente) diventano oggetto di strumentalizzazione ed estremizzazione.

Blackkklansman è un film che di temi, anche impliciti, ne ha in quantità. È tratto dal libro di memorie scritto da Ron Stallworth, il poliziotto nero che negli anni '70 provò ad infiltrarsi nel Ku Klux Klan. La materia, spinosa, è affrontata con gli strumenti consoni ad un film diretto al grande pubblico, ma senza per questo rinunciare alla critica di vari passaggi storici e alla messa a nudo delle contraddizioni del passato e del presente. Si viene catapultati nell'indagine poliziesca, accompagnata dall'azione, il tutto ambientato negli anni '70 con tanto di richiamo ai film della Blaxploitation. A tutto questo si aggiungono la denuncia sociale, il giudizio negativo su un antico film che ha fatto la storia del cinema, il collegamento ai più recenti fatti d'attualità.

Il film mi è piaciuto, per realizzazione e impianto narrativo; riesce ad intrattenere e pure a far pensare. Ben girato, è accompagnato da un'ironia che alleggerisce le situazioni, rendendo scorrevole la visione.

Tra gli attori, il figlio di Denzel Washington se la cava bene nelle vesti di protagonista. Ad accompagnarlo troviamo Adam Driver, nella parte dell'agente sotto copertura: bravo come sempre, una garanzia ormai. Notevole poi, e dalla resa cinematografica perfetta, è la faccia di Robert John Burke capo della polizia: sembra esprimere,oltre ad una certa autorevolezza richiesta dal ruolo, un'appena percettibile ambiguità nei confronti del suo primo ed unico agente di colore. Tra i comprimari mi ha colpito il personaggio pazzoide di Felix (Jasper Pääkkönen), che con i suoi sospetti sul nuovo adepto del gruppo riesce a creare una tensione palpabile , aiutando così la tenuta narrativa del film. 

Un po' eccessiva mi è invece parsa la ridicolizzazione dei vertici del Klan, che potrebbe far perdere di vista le atrocità di cui l'organizzazione si è resa protagonista. Dure e doverose sopraggiungono comunque le immagini dell'attentato di Charlottesville del 2017, con l'auto che piomba sui manifestanti: un crudo ritorno alla realtà, che in questo caso supera in brutalità la finzione cinematografica.

Lee lascia intendere che spazio per la mediazione non ce n'è (stato) e che il fanatismo, tra KKK e controrganizzazioni di colore, sta da ambo le parti. Un equilibrio interessante.

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