Regia di Spike Lee vedi scheda film
Cominciamo dalla fine, dalle immagini di repertorio che immortalano gli scontri tra i suprematisti bianchi - che al grido di "white lives matter" marciano a Charlottesville, in Virginia, nel 2017, per urlare la loro rabbia contro neri ed ebrei - e un corteo antirazzista. Un suprematista bianco si scagliò con la sua auto contro questo secondo corteo, uccidendo una ragazza e mandando in ospedale decine di persone. Trump, con la boria che gli è propria, fece un discorso dal quale non uscì una sola parola di condanna nei confronti dei suprematisti bianchi.
E adesso torniamo all'inizio, a quando il cinema dei padri ci propinava film ad altissimo tasso di razzismo come Nascita di una nazione e Via col vento. In mezzo, tra prologo ed epilogo, una delle opere più politiche di Spike Lee, tratta da una storia vera (diventata un best seller nella ricostruzione che ne fece il protagonista). Siamo a Colorado Springs negli anni Settanta, tra i neri vanno di moda delle grandi capigliature crespe e Ron Stallworth (Washington), un poliziotto di colore, viene prima infiltrato nei comizi delle Pantere Nere (davvero eccessiva la scena del discorso di Stokey Carmichael, così come prolisso è tutto il film), quindi - giocando sulla sua capacità di imitare la voce e il modo di parlare dei bianchi - decide di infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Il problema è che ha bisogno di un bianco per i contatti dal vivo dopo aver avuto quelli telefonici. Fa al caso suo un collega ebreo (Driver), grazie al quale riesce ad arrivare al vertice dell'organizzazione.
"Potere ai neri" contro "potere ai bianchi", pugni chiusi contro braccia tese, soggezione contro idolatria delle armi: Lee gioca il film ricorrendo spesso al montaggio alternato per mettere in antitesi visiva l'America razzista e quella che ha subito la schiavitù, che tocca il suo apice narrativo nel racconto che ne fa Harry Belafonte in una sala gremita da attivisti delle Pantere Nere. Tutto giocato sul filo di un'ironia che colloca spesso il film sul versante della commedia, BlacKkKlansman (da notare il KKK nel titolo) si è aggiudicato un meritatissimo Grand prix al festival di Cannes, andando a rinfoltire la serie di film che, da Mississippi burning a Le stagioni del cuore, hanno raccontato la vicenda violentissima quanto involontariamente grottesca di questa ridicola organizzazione suprematista, che con Trump è tornata ad avere vita facile, segnando un passaggio drastico e repentino dalla presidenza di un nero a quella di un pagliaccio razzista.
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