Regia di Spike Lee vedi scheda film
Ron Stallworth, è tra i primi afro-americano ad entrare nella polizia del Colorado. Quando si accorge che il lavoro d’ufficio gli sta stresso, chiede al suo superiore di passare all’azione e decide di infiltrarsi nel Ku Klux Klan, covo di bianchi razzisti. Il suo operato permetterà di fare luce su una delle pagine più buie dell’America di quei tempi, che ha esteso le sue profonde radici fino ai giorni nostri.
Spike Lee torna a parlare di uno degli argomenti che (per forza di cose) gli sta più a cuore: la considerazione della comunità nera nel mondo americano e non solo. Sviluppa così un racconto composto da due narrazioni quasi parallele: da una parte il movimento politico dei Black Panther Party e dall’altro il KKK. L’unico punto di contatto è appunto Ron Stallworth, che se da una parte è politicamente rappresentato e innamorato dei primi, dall’altra è attratto dalla possibilità di smascherare e sgominare i secondi. Il suo personaggio però lascia pensare che sia stato messo lì per riabilitare (in qualche modo) il negativo giudizio che molti ragazzi di colore avevano e hanno verso i poliziotti, chiamati gergalmente porci, motivo per cui (forse) viene anche circondato da colleghi inclusivi salvo rare eccezioni, troppo rare se pensiamo che il film è ambientato negli anni settanta.
Il serrato montaggio utilizzatoda Spike Lee penalizza la narrazione. Il corposo contenuto e i numerosi personaggi che si susseguono nel racconto vengono solo accennati pur essendo parte di un contesto molto più ampio che però non viene analizzato. Lee racconta un pezzo di storia dando per scontato che protagonisti e situazioni siano note a tutti, dando la sommaria impressione che ciò che viene rappresentato sia incompleto, nonostante la sostanziale durata della pellicola che supera le due ore.
Interessante invece è il parallelismo tra passato e presente che il regista mette in atto attraverso le immagini iniziali, in cui viene utilizzata la scena di Via col vento dei soldati confederati feriti e distesi sulle strade della Georgia che rappresentano il fervore e l’orgoglio di una nazione; e quelle finali in cui vengono mostrate le immagini dei disordini dell'agosto 2017 a Charlottesville, intervallate dai discorsi di David Duke e dalle dichiarazioni del presidente Donald Trump, senza escludere, la contro-protesta dei bianchi e l'attacco in auto compiuto da James Alex Fields Jr. che rappresentano l’odio e l’emarginazione che ancora oggi affligge molti stati.
Tra i punti di forza della pellicola di Lee ci sono di certo alcune inquadrature che il regista utilizza in modo artistico e che vengono esaltate sia dalla brillante fotografia che dall’uso di una palette di colori che riporta vigorosamente agli anni andati.
Nonostante questi elementi positivi BlacKkKlansman resta un film marginale. Che sembra eccedere laddove non ne sussiste il bisogno e non osa invece laddove se ne percepisce la necessità. È un film frettoloso e rabbioso che induce a chiedersi se Spike Lee in fondo non lo volesse poi esattamente così.
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