Regia di Leonardo Pieraccioni vedi scheda film
La vita monotona e tranquilla di tre fratelli della provincia toscana e del loro babbo comunista (Forconi) viene turbata, con quella dei loro compaesani, dall'arrivo di una compagnia di cinque ballerine di flamenco. Il commercialista Levante (Pieraccioni) si innamora di una di queste (Lorena Forteza) e finisce con lei in Spagna ad allevare tori e pargoli. Selvaggia (Barbara Enrichi), la sorella lesbica di Levante, e Libero (Massimo Ceccherini), fratello dal talento mistico-pittorico, si limiteranno a qualche prudore, come del resto molti degli altri compaesani, ma per tutti cambierà qualcosa. Il caso cinematografico del 1996, che ha trascinato nelle sale orde di spettatori alla conquista della seconda fatica di questo re Mida del 35 mm. è tutto qui. Scaltro fino all'ipocrisia, rassicurante, ipersemplificatorio ed avulso da qualsiasi problematica, inguaribilmente ottimista, albagioso al punto da volere suggerire un ponte tra la grande stagione della commedia all'italiana incarnata da Mario Monicelli (di cui si ode soltanto la voce) e quella di oggi, Il ciclone abbindola un pubblico piccolo-borghese legittimato a ridere e sorridere sul tema che domina largamente il film, un erotismo in naftalina poco praticato e molto chiacchierato, liberato soltanto nelle battute davvero comiche di Paolo Hendel. Tolte queste, il lungometraggio di Pieraccioni è davvero cosa misera, limitato com'è ad un assemblaggio scriteriato di sketch pretestuosi e scene imbarazzanti per il cattivo gusto che denunciano, come quella in cui Tosca d'Aquino, erborista snobbata da Levante, simula nel corso di una cena i presunti amplessi vulcanici con l'ambito ragioniere. Sconcertante segno dei tempi, il film che il regista ha sceneggiato col fido e mediocre Giovanni Veronesi marca con esattezza lo stato di miseria che sta passando la nostra civiltà italiota e fa rimpiangere la schietta brutalità dei film dei Vanzina, tanto in voga nel decennio precedente.
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