Regia di Ari Aster vedi scheda film
La nonna è morta. Ma l’eredità spirituale che ha lasciato sulla famiglia Graham no e i rapporti non proprio facili tra le mura della desolata casa di campagna sono terreno fertile per l’insediamento del demone Paimon, Re dell’Inferno.
Ari Aster decide di consacrare la sua entrata sul grande schermo con un prodotto ad alto rischio: un horror con evocazione, sottogenere altamente abusato di un genere ormai – apparentemente – saturo di trovate originali. E se il film si risolve nella materializzazione del demone, è il percorso in cui il regista ci conduce a lasciare il segno.
Il lutto iniziale è la chance per Annie di lasciarsi il conflittuale rapporto con la madre alle spalle. Il destino, però, ha altro in serbo per lei. Un ulteriore dramma distrugge i delicati equilibri familiari e i tre restanti membri della famiglia reagiscono a proprio modo.
Il primogenito, già deboluccio di carattere e devastato dal senso di responsabilità, è il primo a perdere la testa. È il soggetto ideale per l’insediamento del demone. La madre non è così cedevole. Ma tra le tensioni con il figlio, l’indifferenza del marito e la remota speranza di contattare la figlia tramite un’evocazione, alla fine cede pure lei al delirio. Il marito, lucido e distaccato, ultimo barlume di raziocinio, verrà punito: brucerà tra le fiamme dell’inferno.
Aster costruisce sapientemente il crescendo di orrore già a partire dal dramma familiare. E solo quando la famiglia è cotta a puntino – tra tensioni, odio e disperazione – sposta l’enfasi dal piano reale a quello metafisico.
E l’elemento surreale, invece di essere la causa di tutto, pare quasi il naturale epilogo di una situazione familiare destinata al fallimento. Peccato per un finale un po’ sottotono rispetto alla suspense generale.
Brillante il gioco d’inquadrature tra le miniature di Annie e le scene reali, con il modellino che viene fatto a pezzi quando la situazione precipita.
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