Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film
MALGORZATA S.
Jacek è un ragazzo burlone dall'aspetto piacevole, dai lunghi capelli e amante del rock duro. E' amato dalla vivace fidanzata Dagmara ed insieme i due progettano di congiungersi in matrimonio, approfittando del fatto che il ragazzo è impegnato come muratore nell'ambizioso progetto volto a costruire la statua di Cristo più alta del mondo nei pressi del paese rurale che lo ospita.
Il giorno in cui tuttavia Jacek rimane vittima di un grave incidente sul lavoro, che lo vede precipitare dall'alto di una impalcatura, salvandosi per miracolo, ma risultando gravemente sfigurato, ecco che il ragazzo non solo non otterrà l'invalidità che gli permetta di fruire di una pensione anticipata, ma sarà costretto vieppiù a pagarsi le onerose spese che conseguiranno al rivoluzionario trapianto facciale a cui verrà sottoposto - primo individuo n Polonia - e da cui comunque risulterà pur sempre sfigurato, e con sembianze completamente differenti dall'originario, piacione e clownesco Jacek.
Per il ragazzo e la sua determinata famiglia - sorella in testa - si tratterà di trovare la forza anzitutto di accettarsi con quei nuovi, scomodi e poco attraenti tratti facciali, poi di gestire da una parte la sua nuova vita, a metà strada tra zimbello del villaggio e star televisiva di talk show di bassa qualità che si interessano alla sua vicenda umana e cronachistica. Ma si tratterà anche si saper gestire il rifiuto conclamato da parte della bella Dagmara, che non lo accetta più in quelle mutate condizioni estetiche occorse dopo l'incidente.
Il più recente film uscito dal lavoro instancabile della tenace regista polacca Malgorzata Szumowska (ma la cineasta ha ben due film già pronti targati 2019), premiato col Gran Premio della Giuria alla Berlinale 2018, è un lavoro che punta sulla forte empatia emanata sia prima che dopo l'incidente, da parte del singolare personaggio principale di Jacek, interpretato con grande impegno e concentrazione dal bravo Mateusz Kosciukiewicz.
Purtroppo molto di questo anche lodevole sforzo si svilisce a causa di un'accozzaglia di ulteriori personalità eccentriche e sopra le righe, che non fanno altro se non rendere macchiettistico, più che felicemente ironico, il tratto con cui la Szumowska, di ritorno dopo "In the name of" del 2013 negli ambienti di una Polonia rurale interessante e meritevole di essere citata e sviscerata, sceglie di raccontare la sua drammatica vicenda: una storia di mancata o comunque difficile accettazione di se stessi, di crisi di identità che meritava, a mio modo di pensare, un più concentrato e ispirato approccio, senza necessità di rifugiarsi in scelte eccentriche o inutili sarcastiche spiritosaggini fuori luogo.
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