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Un valzer tra gli scaffali

Regia di Thomas Stuber vedi scheda film

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La recensione su Un valzer tra gli scaffali

di Kurtisonic
8 stelle

Se le persone non trovano quello che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano. (Debord, La società dello spettacolo).

Franz Rogowski, Sandra Hüller

Un valzer tra gli scaffali (2018): Franz Rogowski, Sandra Hüller

In una ipotetica classifica dei film della passata stagione che meglio raffigurano lo stato di crisi dell'uomo moderno, incastrato fra instabilità economica e precarietà dei sentimenti, il tedesco Un Valzer Tra Gli Scaffali occuperebbe un bel posto di rilievo. Uno spaccato della realtà dentro i luoghi del lavoro con cui in proporzioni variabili siamo tutti costretti a fare i conti. Il regista Thomas Stuber ottiene l’universalità del racconto utilizzando uno degli espedienti più lievi del cinema, la semplice storia sentimentale, stavolta tra due colleghi dentro un supermercato all'ingrosso. Niente di più che questo. Niente più che la semplice realtà delle cose la cui percezione ci costringe a misurarne tutti i giorni il peso. Eppure nessuno in fondo ha voglia di parlarne con sincerità, si finge di ignorarla, oppure si costruiscono meccanismi narrativi contorti, il particolare estetizzante, l’escamotage eccezionale. Il film di Stuber invece ci mette proprio dove ci troviamo ogni mattina, con quei rumori, quegli sguardi di finta indifferenza, illudendosi di potersi rifare un altrove completamente slegato dalla propria condizione sociale, diverso da quello che si è.  Il film cerca proprio di evidenziare questo punto, cioè se il tipo di vita che oggi ci è consentito da questo sistema è appropriato per l’essere umano e soprattutto quale sia lo spazio possibile entro il quale l’uomo possa muoversi al di fuori di ciò che socialmente rappresenta. Il novellino, così è soprannominato Cristian, aspirante guidatore di muletto elettrico è attratto da un' addetta agli scaffali dei dolciumi, Marion, di cui intuiamo una vita complicata alle spalle, ma di cui più il film progredirà avremo sempre meno certezze.  La cura e la perizia con cui Stuber descrive i meccanismi relazionali all'interno di una realtà lavorativa sono impeccabili. La collettività dei colleghi si rivela giorno dopo giorno composta da personaggi con una identità connaturata alle loro funzioni fino a quando si arriverà all'amara considerazione che al di fuori del posto di lavoro, trasformato in santuario laico e ricreativo, le persone sono destinate a scomparire nel buio della sera, cioè a fine turno, in una non esistenza. Il regista non utilizza i consueti stratagemmi post ideologici, o magari quelle situazioni familiari conclamate ed esplosive che danno il fianco a qualsiasi giustificazione emotiva.  Siamo nella ricca Germania (una concessione c’è, ci troviamo nella ex DDR) dove per lo stipendio pare si debba tirare la carretta come da un'altra parte. I dialoghi importanti si svolgono vicino ai distributori di bevande, nelle pause, alle loro spalle la parete è occupata da un manifesto che riproduce una spiaggia caraibica al tramonto con sabbia fine e palme di ordinanza, anche l'immaginario è veicolato dal sistema. Cristian e Marion vivranno con disagio l’assenza di un loro micromondo vagheggiato e personale poiché l'individuo e la sua unicità non vengono riconosciuti nemmeno dai diretti interessati.

Sandra Hüller, Franz Rogowski

Un valzer tra gli scaffali (2018): Sandra Hüller, Franz Rogowski

Che cosa chiederesti se esprimessi un desiderio? Tutto. La risposta di Marion alla domanda di Cristian sottende il vuoto dell’esistenza la non possibilità del desiderio perché appartenente ad una dimensione che nel pensiero del lavoratore, dello sfruttato, non è contemplato come del resto anche quello del conflitto. Il lavoro (tra l’altro demansionato) tesse una tela che mette in comunicazione ogni sentimento dalla solidarietà al risentimento. Non c’è conflitto vero verso la condizione di sfruttamento, solo una vuota rassegnazione che Christian vorrebbe colmare con la vicinanza di Marion alla quale nel periodo di Natale viene anche cambiato di turno e la relazione si avvia ad essere ancora più indecifrabile e inconsistente.  L’anziano collega Bruno è il prototipo della deriva del lavoratore di un tempo, una volta specializzato e adesso nel migliore dei casi robotizzato nel ripetere all’infinito le stesse operazioni. Bruno rappresenta un uomo che per sentirsi parte di un sistema produttivo nel quale non si riconosce ha rinunciato a tutto. Egli incarna l’opposto dell'assenza del desiderio ma che vive la depressione per l’inaccessibilità e il dissolvimento di quello a cui tiene. Christian ordina in file verticali pesanti cassoni di bevande e Marion dispone dolcezze sui bancali, ricreano un mondo già predisposto nel quale loro non potrebbero mai essere protagonisti ma semplici risorse umane di scambio come una qualsiasi merce. Riusciranno nell' impresa di liberarsi dal giogo del disagio, troveranno rifugio in qualcosa simile all’amore? Se Christian confessa a Marion il suo malessere per essere stato definito a torto un fancazzista quando invece la situazione avrebbe suggerito un altro tipo di confidenza, la risposta sembrerebbe già indirizzata altrove...  L’attenzione delle inquadrature sui tatuaggi che Christian si porta addosso in abbondanza non sembra tanto sottolineare la volontà di omologazione, o la ricerca di identità di gruppo, ma piuttosto una cieca etichettatura che vuole evidenziare una diversità. Questa differenza che il giovane percepisce è fonte di sofferenza, di distanza sociale, di solitudine invalicabile. Il finale stridente con il sonoro extradiegetico che ricorda i canti dei raccoglitori di cotone forse è l'unica nota stonata a fronte di una colonna sonora scarna ma conturbante. Il film di Stuber ha il grande pregio di fare riflettere sul senso della vita condizionata dai tempi, dai ritmi di un lavoro nel quale non si riconoscono attitudini e capacità ma solo il semplice asservimento. Potente e malinconico affresco di questa epoca. 

 

 

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