Regia di Bonifacio Angius vedi scheda film
Alessandro (Alessandro Gazale) è un cantante di musica popolare sarda. Riscuote un discreto successo con le sue serate in giro per i paesi e i locali. Ma è un alcolizzato perso e questo ne limita il talento artistico e ne incattivisce il carattere. Arrivato al culmine di una delle sue crisi peggiori, viene portato in un centro di recupero. Qui conosce Francesca (Francesca Niedda), una donna che sta cercando di disintossicarsi dal vizio della droga. Francesca ha un figlio di nome Antonio (Antonio Angius), che vorrebbe rivedere e portare lontano con se, a dispetto degli assistenti sociali che glielo hanno sottratto. Alessandro decide di aiutarla in questa impresa, per un viaggio che potrebbe aiutare entrambi ad essere diversi.
“Ovunque proteggimi” di Bonifacio Angius è un film attraversato da una sensazione di pacificazione inespressa. Si evidenzia la rabbia che covano in corpo i due sbandati protagonisti, colti al culmine del loro disagio esistenziale e del loro scontro con il mondo circostante. Ma emerge con forza anche la dolcezza scolpita nelle loro sottaciute richieste d'aiuto, che nascono dall'urgenza del tutto spontanea di darsi protezione a vicenda. Ci si affeziona a questi sbandati patentati, non però alle loro vite soggiogate dal vizio di farsi del male, ma ad una storia intrisa di rabbiosa solidarietà, che li vede incamminarsi con impavida sicurezza lungo un percorso tutto da definire, entrambi in fuga da esistenze sciupate troppo in fretta.
Alessandro e Francesca hanno imboccato la strada della vita contromano. L'uomo può permettersi anche di percorrerla fino in fondo per vedere l'effetto che fa, non ha nessuno a cui dar conto e l'affetto per i congiunti si è ormai sopito. La donna, invece, deve fermarsi al primo incrocio utile se non vuole spegnere anche l'unica luce che ancora gli lascia intravedere l'orizzonte. Viaggiano ai margini del mondo, dopo averne assaporato il gusto più acre e degradante. La faccia del loro riscatto non può essere lieve, rasserenata dalla presa d'atto di dove si è sbagliato e cosa bisogna fare per riparare le cose una volta e per sempre. Perché comunque deve sottostare all'amara circostanza del come si è stati, alla constatazione certificata che se si è seminato tanto dolore, dalle persone che ti cirondano, non puoi aspettarti che una pari diffidenza. Per questo Alessandro e Francesca cercano di trovare aiuto l'uno nell'altra, in una maniera inconsapevole, quasi istintiva, come il prodotto di un qualcosa che li fa riconoscere come esseri bisognosi di una vicendevole protezione. Le loro vite ondivaghe si trovano ad un certo punto a dover affrontare uno scopo, e questo scopo diventa l'unica rotta percorribile per dare ossigeno ai loro polmoni essiccati dagli eccessi, nonostante ci si trovi in Sardegna, che offre poche possibilità di fuga dalle sue traiettorie obbligatoriamente circolari.
Alessandro canta molto bene e sul palco sa essere un ottimo intrattenitore, ma ha dilapidato il suo talento istrionico in litri e litri di alcool, che se gli hanno donato momenti di ricercata esaltazione, gli hanno soprattutto sottratto quella lucidità necessaria per dare il giusto valore alle cose che popolano la sua vita. É un buono Alessandro, ma i comportamenti dissoluti lo hanno reso schiavo del disordine imperituro. In Francesca trova un motivo utile per dare uno sbocco vivifico ad un'esistenza fatta di abusi improduttivi. Nell'obbligo imposto alla donna di non poter stare insieme con il figlio, scorge una tale forma di ingiustizia da ritenere di aver trovato uno sbocco finalmente sensato alla sua innata indole contestataria.
Francesca trova in Alessandro un complice inaspettato, lo erge a proprio angelo custode senza sapere con precisione chi sia e cosa voglia precisamente da lei quest'uomo conosiuto appena. Ma ha un figlio che vorrebbe crescere a dispetto delle restrizioni di legge e le rimostranze rancorose dei genitori. E questo gli reca l'urgenza di legarsi al primo che gli dimostri anche un poco di disinteressata vicinanza emotiva, la necessità contingente di praticare una fuga con chiunque si offra di essere un silente compagno di viaggio.
Il piccolo Antonio rappresenta l'elemento che rompe gli indugi della narrazione, perché trasforma una drogata inguaribile in una mamma che è stata capace di introiettare amore in un figlio, una poco di buono “cinica e succhia cazzi” in una donna desiderosa di allontanare il figlio dai suoi demoni interiori. Il bambino rappresenta ciò che riesce ad umanizzare la faccia esclusivamente bruta del vizio, ad inserirlo nelle cose plausibili che accadono nel sistema mondo, a regolarizzare lo scarto tra chi conduce una vita carica di eccessi ingiustificati e chi, a questi eccessi, è solito attribuire dei giudizi insindacabili.
“Ovunque proteggimi” è in definitiva un bel film italiano, che non si compiace affatto del maledettismo anarcoide che mette in mostra. La terra di Sardegna fa solo sentire la sua eco distante, il suo mare vergine e la sua bellezza millenaria fanno da sfondo muto a questa bella storia di amicizia che potrbbe trasformarsi in tenero amore. É lontano anni luce, sia dagli stereotipi nazional popolari, tanto ricercati da chi persegue come scopo principale quello (peraltro legittimo) di far cassa, sia dalle furberie “radical chic” imbevute degli spasmi umorali di una borghesia stanca e stancante. E mi viene naturale dire, con onesta e quasi sospirata convinzione : finalmente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta