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Lo chiamavano Trinità...

Regia di E. B. Clucher (Enzo Barboni) vedi scheda film

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La recensione su Lo chiamavano Trinità...

di scapigliato
10 stelle

“[...] non lavora e non ne ha voglia. Non è un corpo docile, questo è lo scandalo, il crimine. [...] è un fuorilegge, perchè fuori dalla legge del capitale. [...] Non è un eroe ma un essere-contro, perchè il suo non-essere-un-corpo-docile lo mette fuori e contro la legge”. Non sono parole mie, ma di Toni D’Angela che non sta parlando di Trinità, bensì del Billy the Kid di Sam Peckinpah. Nel suo saggio Al Limite dell’Eccesso. Sam Peckinpah, l’Ultimo Westerner, inserito nel volume Falsopiano curato da lui stesso, Il Cinema Western da Griffith a Peckinpah, D’Angela riflette sulla figura del bandito interpretato da Kriss Kristofferson come emblema dell’anticapitalismo e della ribellione individuale dell’uomo contro il sistema consumistico, dogmatico e classista fondato sui rapporti di forza. Profilo critico-sociale che ben si presta a descrivere anche gli antieroi dello Spaghetti-Western, e con le dovute proporzioni al posto di Billy possiamo metterci Trinità e trovarvi frasi di senso compiuto. La genesi del clamoroso film di Enzo Barboni e prodotto da Italo Zingarelli è travagliata, e nasconde nelle sue pieghe le coordinate culturali e produttive di quell’epoca. Un’epoca in cui lo spagowestern stava cominciando in alcuni casi a sparare a salve e non riusciva più a tenere testa ai titoli precedenti. Inizialmente ironico, come testimoniano le fonti, il soggetto di Barboni non trovava nessun produttore che lo volesse girare a causa dell’assenza di una certa violenza che aveva fatto la fortuna del genere. Inoltre era ancora sprovvisto delle tante gag che saranno poi la fortuna del film. Ci troviamo quindi, sembra di capire, in un momento di chiara transizione. Da un lato il genere emancipato da Sergio Leone cominciava a inaridirsi e a fruttare poco, dall’altro i produttori cercavano ancora il grande film serio e incisivo, violento e crudele per continuare la fortunata serie di pellicole, quasi 300, prodotte tra il 1964 e il 1970. In questa trazione s’inserisce la curiosità di Barboni, regista di uno spagowestern oscuro e disperato come Ciakmull, tra l’altro coetaneo e di poco precedente a Trinità. Una curiosità che lo porta ad amplificare il taglio ironico di alcuni titoli precedenti, tra cui quelli di Giuseppe Colizzi con l’allora ancora acerba coppia Hill-Spencer, e virare decisamente verso il comico, o meglio ancora il farsesco.

Lo Chiamavano Trinità è quindi il film spartiacque con cui il vecchio western all’italiana declina la propria ferocia e la propria ironia nera in farsa, in commedia. Va detto in verità che l’aspetto disperato, inquieto e antieroico delle pellicole degli anni ’60 continuerà a vivere in tanti altri titoli fino all’esaurimento vero e proprio del genere nel 1978 con Sella d’Argento. Ovviamente aumentano notevolmente i film puramente comici e parodistici, tanto da creare un vero e proprio filone interno al genere. Anche qui varrebbe la pena fare delle distinzioni. Infatti, un conto è parlare di una parodia, un conto parlare di un film comico che fonda la sua poetica nella commedia farsesca, che è già un’altra cosa rispetto alla commedia tipicamente all’italiana. Di parodie western se ne facevano già prima, con la Tina Pica, Vianello e Tognazzi, e più recentemente con Ciccio e Franco - Due Mafiosi nel Far West è già del 1964. Mentre la commedia farsesca arrivava dalla lezione americana di Buster Keaton, Chaplin, Stanlio e Ollio, ma anche dalla slapstik-comedy tutta, oltre che trovare radici nell’esuberanza comica tipica italiana che radica infatti in Goldoni, in Ruzante e nelle famose maschere popolari - lo stesso Per Un Pugno di Dollari si rifaceva all’Arlecchino Servitore di Due Padroni di Goldoni, per ammissione dello stesso Sergio Leone. La differenza sostanziale, senza entrare nello specifico critico, è che la parodia ridicolizza un’immagine conosciuta e codificata senza propriamente satireggiare, fermandosi quindi ad un livello testuale di deformazione del “conosciuto”, ed è per questo prettamente comica, guittesca e popolare. Passando dalla satira, oltre a rimaneggiare il côté iconografico e modulare dell’immagine, questa si propone anche di irridere il discorso, il contenuto di un’immagine. La commedia pertanto non è necessariamente una parodia, ma senza una vena satirica non potrebbe comunque essere tale, per come noi oggi intendiamo modernamente la commedia. Un tempo infatti commedia era tutto ciò che non era tragedia, quindi anche opere puramente drammatiche. La farsa invece, non prevede la ridicolizzazione di un’immagine o la sua satirizzazione, o almeno non nella sua veste base, bensì porta in scena personaggi e situazioni al limite della surrealità sempre poggiando su un minimo di realismo riconoscibile allo spettatore. Il taglio decisamente irrazionale e grottesco, unito con la verve guittesca, da saltimbanchi comici tipica della cultura teatrale e d’avanspettacolo italiana formano quella precisa poetica nostrana che è trasversale a tutti i generi e tutte le forme narrative.

Succede tutto questo anche in Lo Chiamavano Trinità dove la consapevolezza dell’importanza del gesto comico e dei fondamentali della farsa sono ben evidenti e riconoscibili sia nel lavoro di Barboni che in quello attoriale della coppia Hill-Spencer. Non solo: questa consapevolezza ha una nascita precedente a Trinità. Già con i film di Giuseppe Colizzi, uno dei più grandi westerner del nostro genere, Bud Spencer e Terence Hill incarnavano immagini e riferimenti oppositivi tanto da renderli quasi indivisibili nella loro dualità. Lo dimostra il titolo di lavorazione del loro primo western, Dio Perdona... Io No!, che Colizzi voleva che fosse Il Cane, il Gatto e La Volpe - il film è del ’67 e l’anno prima aveva furoreggiato Il Buono, Il Brutto, il Cattivo e s’andavano così codificando i nuovi elemente narrativi e linguistici dello Spaghetti-Western. Nel titolo originale previsto da Colizzi era già chiaro come fosse importante la ridefinizione simbolica dei due personaggi chiave. Trasferire simbolicamente l’insieme dei dati caratteriali e fisici di un personaggio su un’immagine che lo definisce alteritivamente presuppone la consapevolezza di dare alla storia una patente tipizzazione che è poi ciò che ci permette di raccontare il Mito in più forme. Come Leone tipizzava in una certa direzione i suoi antieroi e vagabondi, così hanno fatto sia Corbucci che Colizzi. Il primo scegliendo l’iperrealtà di Leone e trasformandola in esasperazione dell’immagine-movimento classica, per cui è il gesto che definisce il carattere e il discorso dell’immagine; il secondo scegliendo la via popolare della tradizione iconologica di maschere e saltimbanchi vari e declinando così il western in forma farsesca, ma non semplicemente parodica.

Tutto il film di Barboni è un inno all’antagonismo. Non solo crea un’aspra tensione tra i fautori del genere duro e puro, come Sergio Leone e Sergio Corbucci - che inevitabilmente andranno col tempo verso la stessa deriva farsesca -, e tra chi ora propone un altro tipo di western sul modello di Trinità, ma gli stessi personaggi di Trinità e Bambino scardinano a loro modo lo stesso sistema di istituzionalità accettate già attaccate dai loro precursori. Ritornando alle parole di Tony D’Angela riferite a Billy the Kid non possiamo non vedere come proprio nel genere western, meglio ancora del poliziesco, del noir e del polar francese, trovano cittadinanza e coerenza ideologica gli antieroi vagabondi, i fuorilegge ribelli e le simpatiche canaglie dell’antagonismo culturale di tutti i tempi e di tutte le culture. In particolar modo si trovano a loro agio nello Spaghetti-Western perchè nasce innanzitutto proprio come genere spurio, essendo di origine americana con forti radici nella cultura del suo paese, quindi “bastardo”, non omologato, “corpo-non-docile”, e successivamente diventa il genere con cui veicolare i malumori sociali e le falle del sistema moderno, capitalistico, fortemente ideologizzato, poco ambientalista e molto dogmatico e asservito religiosamente, che non è solamente italiano ma mondiale, financo universale se lo vediamo storicamente come l’involuzione secolare del genere umano.

É qui che si inserisce il personaggio di Trinità. Sporco, povero, vagabondo, senza lavoro quindi non accettato dal consorzio degli uomini servi della produzione irragionata di nuova ricchezza, Trinità non può che essere percepito come il nemico, anche nemico socialista, del benessere pubblico. Questo finto benessere è difeso dalla legge dell’uomo che vuole adattare ai suoi interessi la paventata legge di dio. E la legge, in Lo Chiamavano Trinità, non è altri che la mano sinistra del diavolo, ovvero Bud Spencer. Quindi una legge farlocca, finta. Una mascherata nella mascherata. Da cui un’equazione del tipo: il benessere pubblico è difeso dalla legge e la legge è legittimata dal benessere pubblico; la legge è corrotta, il benessere pubblico è corrotto e quindi illegittima la legge e corrompe i rapporti sociali. Ma poi ci accorgiamo che lo sceriffo Bud Spencer, oltre ad essere un ladro di cavalli è anche un uomo che si mette contro gli affaristi senza scrupoli, veri e propri criminali dei giorni nostri, che spadroneggiano in città. Questo primo ribaltamento di prospettive affonda nella farsa, per cui gli appartenenti al benessere pubblico, ovvero gli affaristi-delinquenti, sono osteggiati da una legge che loro non hanno voluto, ma che è un riappropriamento popolare in linea diretta con la tradizione comica. Il povero ignorante bifolco che sa mettere all’angolo il signorotto cittadino arriva da una lunga serie di opere classiche che già s’interrogavano sulla legittimità dei rapporti di forza. Così, Bambino e Trinità incarnano i reietti antagonisti del sistema che, nonostante motivazioni materialistiche come quella di Bud Spencer che difende i mormoni solo per rubare i cavalli al maggiore interpreato da Farley Granger, riescono ugualmente a camminare correttamente lungo il difficile sentiero dell’etica umana che per definizione non può risiedere nei corridoi dei palazzi di potere. Già le prime immagini di Terence Hill steso sul travoy indiano mentre attraversa il deserto della Cava della Magliana sono un’immagine di antagonismo culturale. Non solo: anche il discorso religioso, già ironizzato nel titolo, è preso non poco di mira dalle sagaci battute dei due protagonisti. Farsi beffe delle istituzioni è sempre stato il territorio eletto del popolo, del volgo che non aveva altri mezzi per contestare gli abusi di potere e le angherie dei nobili di allora, o dei politici-imprenditori di oggi. Ecco che i mormoni non sono poi così coerenti con loro stessi se la loro dignitosa povertà assomiglia molto a quella di un’industria capitalista o se basta una veloce riga della Bibbia a farli imbracciare le armi e rinnegare la loro non-violenza. Così come le sagaci battute su dio allontanano ulteriormente i due protagonisti dal gruppo sociale dominante e dominato, rendendoli veri e propri antagonisti in più direzioni.

A loro favore, e a favore dell’intera pellicola, giocano anche le modulazioni narrative che coinvolgono non solo grandi volti caratteristici come Remo Capitani, Ezio Marano, Luciano Rossi, Farley Granger, Steffen Zacharias, Riccardo Pizzuti e Michele Cimarosa, fratello di Tano, nel celebre ruolo-macchietta del messicano ubriaco, ma anche una tecnica coreografica e una direzione artistica invidiabile, senza le quali il film non avrebbe avuto fortuna. La coppia Hill-Spencer ha di suo il gioco facile grazie alle immagini oppositive che essi stessi richiamano. In più, senza una vera arte alle spalle, hanno saputo motivare comicamente i propri gesti. La comicità gestuale è la più primitiva ed universale. Tacciata come volgare e popolaresca, in realtà è la più autentica forma di divertimento e satira a cui ogni uomo può avvicinarsi. Bud Spencer e Terence Hill la fanno propria, dotando ogni singolo sguardo, ogni singolo gesto, ogni singola posa di una carica comica tale che una volta insieme sullo schermo l’alchimia è grande e fa la fortuna del film. Ma guai dimenticarsi di Enzo Barboni e della sua geniale intuizione mutuata da Colizzi. Nonostante gli spagowesterner più puri fossero in disaccordo su questa novità cinematografica che avrebbe ridicolizzato il monumentale blocco di titoli precedenti, va detto che il genere “duro e puro” ha poi avuto i suoi grandi titoli, e nemmeno pochi. Certo, l’apporto farsesco di Trinità s’è sentito, ma non ha vietato a tanti registi di fare i loro film in piena indipendenza poetica ed estetica. Barboni quindi non può essere l’assassino dello Spaghetti-Western, che lo è più verosimilmente la televisione - come per tutto il cinema di genere -, quanto piuttosto un suo rivitalizzatore. É qui che, sul lontanissimo modello di Sette Spose Per Sette Fratelli, fa capolino la celebre scazzottata. Tipica dei film di Bud Spencer e Terence Hill è comune a molte altre pellicole, anche precedenti a Trinità. Il valore aggiunto di queste loro precise scazzottate era soprattutto la lunghezza della scena, così dilatata nel tempo da essere quasi irreale, o meglio surreale, come gran parte del taglio comico dei loro film. Inoltre erano, a differenza di altre in altri contesti, scazzottate divertenti e senza violenza. Inizialmente non erano pensati per i bambini i loro film, quindi la loro non-violenza non è da leggersi come buonista o da educandi, piuttosto era un preciso tentativo di comicizzare anche quel topos narrativo. E il risultato è stato quello di codificare, a partire dalla scazzottata, un intero nuovo filone cinematografico in bassocontinuo alle produzioni main-stream e che ha coinvolto l’intero corpus filmico della coppia o del solo Bud Spencer. Così come l’armonia musicale delle scazzottate è il marchio di una professionalità e di una tecnica coreografica non puerile che ridimensiona così la facile etichetta di film macchiettistico - per i tanti ruoli fumettistici - promuovendo invece un approccio critico più serio che fa di Lo Chiamavano Trinità non l’assassino dello Spaghetti-Western ma il prototipo di una delle sue varie forme di espressione.

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