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Miserere

Regia di Babis Makridis vedi scheda film

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La recensione su Miserere

di mm40
8 stelle

Un avvocato si sveglia piangendo tutte le mattine. E tutti i pomeriggi riceve una torta in dono da una vicina, per alleviare le pene dategli da sua moglie, rimasta in coma dopo un incidente. Tutti si preoccupano per l’uomo, che non sa darsi pace. Fino a che, un giorno, accade l’incredibile.

La pietà, moneta di scambio dialettico fra le persone, linfa vitale per gli afflitti e sentimento di convenienza per chi desidera liberarsi del peso della loro grigia, nefasta compagnia; è la pietà, intesa come l’esatto opposto dell’empatia, la protagonista di questo inquietante film di Babis Makridis, autore greco giunto al suo secondo lungometraggio dopo l’altrettanto pungente e lievemente meno disturbante L (2012). Anche in questa occasione a collaborare con il regista per la sceneggiatura c’è Efhtymis Filippou, già collaboratore di Lanthimos, e proprio il copione è il punto di forza del lavoro; una scrittura a sottrarre ci fa infatti entrare di soppiatto nella vita di un architetto nevrotico e nella sua fieramente masochistica routine, senza spiegarci troppo e lasciando a laconici dialoghi (con scarno uso delle musiche, solo a risaltare le scene madri) e sequenze grottesche l’incombenza della narrazione. Ma una linea logica si intravede fin da subito, nelle gesta del protagonista e di chi gli sta intorno; talvolta – come nella scena della sostituzione del quadro in ufficio – diviene perfino didascalica, ma certo non si può dire che Miserere (Pity, titolo originale) sia un film semplice o superficiale. Roboante, ridondante, eccessivo il finale: questo sì, ma null’altro pare zoppicare nella pellicola, anche grazie alla nitida fotografia di Konstantinos Koukoulios e certamente alla convincente interpretazione monoespressiva – perennemente estatico, perso nell’incredulità della realtà circostante – di Yannis Drakopoulos. La pietà (ricevuta) è come una droga potentissima: obnubila la mente, dà dipendenza, si ricerca in dosi sempre più massicce. E ci fa sentire al centro dell’attenzione, andando a colmare un vuoto interiore troppo spaventoso per potercisi spontaneamente affacciare sopra. 8/10.

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