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Gun City

Regia di Dani de la Torre vedi scheda film

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La recensione su Gun City

di supadany
4 stelle

Stando con i piedi ben piantati per terra, non si taglieranno mai traguardi clamorosi, tuttavia è comunque possibile conseguire risultati rispettabili, conquistare un tornaconto corredato di soddisfazioni da conservare. Il discorso è di tutt’altro tenore quando capita tra le mani un progetto ambizioso, crocevia che spesso arriva proprio dopo aver dimostrato di saperci fare lavorando dal basso.

Nel caso di Antonio de la Torre e della sua opera seconda Gun city, siamo al cospetto di un salto triplo rispetto al precedente Desconocido – Resa dei conti, che invece di atterrare sulla sabbia preposta per questa disciplina, accusa vertigini, talvolta pure autoindotte senza giustificato motivo, fino a farsi del male con le proprie mani e schiantarsi contro un muro.

Barcellona, 1921. Anibal Uriarte (Luis Tosar) è un enigmatico poliziotto che arriva in Catalogna per indagare sull’assalto subito da un treno militare, depredato di un ingente carico di armi da fuoco.

Insieme a colleghi dai metodi spicci, dovrà fronteggiare la criminalità locale e confrontarsi con gli anarchici, a cui appartiene anche Sara (Michelle Jenner), impegnata in prima linea nelle manifestazioni che richiedono maggiori diritti per le donne.

Una situazione incandescente, all’interno della quale ogni schieramento non ha intenzione di arretrare di un millimetro, per non perdere posizioni acquisite o, in alternativa, per non rinunciare ai propri ideali.

 

Luis Tosar

Gun City (2018): Luis Tosar

 

Gun city ricerca con energia un respiro internazionale, centrifugando vari generi sullo sfondo di una cornice storica ricostruita disponendo dei mezzi necessari per non fare una brutta  figura.

Dunque, il gangster movie interagisce strettamente con l’impegno civile derivante dalle lotte per la conquista dei diritti fondamentali dei lavoratori e delle donne, le furenti sparatorie sono alternate a scontri a mani nude e la saggezza dei più anziani deve fronteggiare l’irruenza dei giovani, che non hanno alcuna intenzione di aspettare il loro momento.

Il materiale abbonda, ma la quantità non procede di pari passo con la qualità. Dal punto di vista formale, Antonio de la Torre si mette in bella vista, dimostra di conoscere a menadito il mezzo e decide scientemente di far fluttuare la telecamera. Sfortunatamente, alla lunga il suo esercizio di stile diventa soffocante, con una reiterazione di riprese vorticose che finiscono per essere assimilabili come fini a se stesse (solo Michael Bay sarebbe capace di tanto).

Allo stesso tempo, il contenuto soffre la convivenza di numerose venature, una sensazione che nell’ultima mezz’ora acquisisce la forma di pasticcio conclamato, con ogni appiglio di credibilità mandato al macero.

In questo scenario, non funziona nemmeno l’intesa incardinata tra il regista e Luis Tosar, che troppo spesso appare nient’altro che un derivato del Sylvester Stallone degli anni ottanta (invincibile, protagonista di botte da orbi, sguardo fisso aggregato e ovviamente ha sempre ragione lui), mentre Michelle Jenner è calata completamente nella parte e intensa, ma sempre finalizzata alla proliferazione di lacrime a comando.

 

Luis Tosar

Gun City (2018): Luis Tosar

 

Per tutte queste ragioni, Gun city ha tutte le caratteristiche per ben figurare come prime time televisivo da rete ammiraglia (per intenderci, Rai Uno e Canale Cinque), ha tante buone argomentazioni ma le spiattella senza il minimo pudore fino a risultare estenuante, praticamente insostenibile, tra suddivisione binarie, colpi a effetto, musiche riecheggianti ed enfatizzazioni svergognate.

Farraginoso nell’esecuzione ed esteticamente impomatato.

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