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X-Men: Dark Phoenix

Regia di Simon Kinberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su X-Men: Dark Phoenix

di lussemburgo
7 stelle

Ultimo capitolo della serie derivata degli X-men di cui racconta le origini, Dark Phoenix è, quindi, un prequel della serie inaugurale delle avventure cinematografiche dei mutanti; ma anche un sequel di quella saga secondaria e, per il contenuto, un remake del terzo capitolo (Conflitto finale) di quella originale, ciò che rende l’intera serie sulle origini un reboot di quella primigenia poiché rinarra, le medesime vicende con altri protagonisti. Si tratta, insomma, di un film mutante e dalla mutevole identità, alla stregua dei suoi personaggi.

Se First Class (X-Men: L’inizio) si divertiva a recuperare un certo spirito swinging degli Anni 60 in cui era ambientato, ammiccando ai primi James Bond e trattando il materiale supereroistico con umorismo e citazionismo scanzonato, il secondo capitolo della serie ringiovanita, ambientato negli Anni 70, inseriva uno iato con gli eventi precedenti, cancellando mutanti e introducendone altri nuovi, per poi muoversi nel tempo sino ad inaugurare una diversa linea cronologica che, di fatto, permette alla serie derivata di sovrapporsi all’originale ed autorizza il reboot di Dark Phoenix. Gli eventi dell’ultima pellicola (ambientata negli Anni 90, nel 1994 per la precisione) infatto anticipano e variano quelli raccontati in Conflitto Finale (2006) e l’inizio stesso della prima trilogia (2000). Un’inutile cacofonia visiva è stata introdotta nel frattempo da Apocalisse (con ambientazione negli Anni 80), ultima partecipazione di Singer alle vicende dei mutanti (escludendo produzione esecutiva e regia del pilota di The Gifted, serie Fox appena cancellata), uno dei pochi film su concessione Marvel (anche se di produzione Fox ed estranei al MCU) a compiacersi della distruzione ambientale e del tripudio di effetti visivi tipici delle pellicole DC (e dell’influenza di Snyder) invece di interessarsi alla psicologia dei personaggi.

Dark Phoenix sembra invece fare marcia indietro, riconducendo perfettamente all’estetica della prima trilogia ma cambiandone gli attori e le vicende, con Xavier alla guida dell’omonima scuola e compiacente nella cerca di pace e coabitazione con gli umani rendendo i mutanti una squadra di simil-Avengers (gli X-Men), superdotati risolutori di superproblemi, mentre Magneto si è ritirato pacificamente sulla terra concessagli per l’utopia segregazionista mutante (Genosha) di cui è sempre stato ossessivo fautore. Sullo sfondo dell’eterno dilemma dell’integrazione, tema esplicitamente singeriano del riconoscimento e dell’accettazione della diversità, il film inserisce potenti rivendicazioni di genere sin dalle quasi iniziali parole di Raven, per la quale, data l’importanza delle donne durante le azioni mutanti, si dovrebbe ribattezzare il gruppo “X-Women” e non assoggettarsi al semplice e solo volere delle istituzioni per cercare di vivere una vita autonomamente felice. Inoltre, il film funge da introduzione della trasformazione di Jean Grey in Fenice e fa eco, anche estetica, al recente Captain Marvel dei Marvel Studios (del resto il primo nome da mutante di Jean è “Ms Marvel”), con un’eroina che diventa pressoché onnipotente, fiammeggiante di lampi di luce e di energia compressa (il primato di un film superperoico con protagonista -e regista- donna è comunque della DC con Wonder Woman). D’altra parte, Carol Danvers non ambisce al dominio del mondo, pur facendosi immodesta paladina dell’intera galassia, mentre Jean Grey (come la Sansa Stark interpretata dalla stessa Sophie Turner nel Trono di Spade) ha maggiori ambizioni e accarezza l’idea di vendicarsi dell’universo, o per lo meno della razza umana.

Ovviamente istiga Jean Grey e conduce sulla cattiva strada l’extra-terrestre interpretata da Jessica Chastain (a sottolineare la linea portante femminile del film), capo di una sorta di consorteria di alieni mutaforma abbastanza arrabbiati per la distruzione del loro mondo di origine e interessati a quell’energia stellare che Grey riesce a contenere. Questa trama, pur fornendo mezzi e pretesti per lo sviluppo più spettacolare, risulta infine un ingombrante Macguffin che distrae dalla semplicità di un racconto di formazione che amplifica a dismisura il concetto Marvel dei supereroi con gravi problemi e porta alle estreme conseguenze il fatto che da grandi poteri derivino grandi responsabilità. Riallacciandosi all’inevitabile esito di Conflitto finale (e, forse involontariamente, al sacrificio di Tony Stark in Endgame), la scelta cristologica di Jean Grey di immolarsi per salvare il mondo (e gli amici) non fa che sottolineare l’importanza di genere nel ritratto di supereroi femmine (e, come Danvers, ben più potenti dei maschi) e inserisce la piena finale consapevolezza delle proprie azioni che nella prima versione del personaggio sembrava latitare (era l’innamorato Wolverine ad andare melodrammaticamente contro il proprio affetto nel sopprimere l’incontenibile Fenice Nera). Aggiornando personaggio e tematiche, il film diventa un altro tassello nella trasformazione dell’immaginario collettivo americano che stanno operando il film supereroistici, con donne forti e minoranze orgogliose, amplificato dal basso continuo della discriminazione della differenza che rimane alla base della narrazione dei mutanti.

Film debitore non solo di tutti i film precedenti ma di diversi apporti di influenze esterne, varie e molteplici, spesso solo accennate o soltanto intuibili, da X-Files a Terminator, La cosa e L’invasione degli ultracorpi come World War Z o Skyfall, Dark Phoenix a volte risulta un po’ fiacco nelle scene d’azione (non numerose, peraltro) o schematico nel riportare subito i personaggi in linea con le proprie ossessioni senza passaggi critici intermedi. La pellicola dell’esordiente Kinberg si trova a dover mescolare il déjà-vu con l’ambizione di raccontare qualcosa di nuovo o da una diversa angolazione, sfruttando però la scorciatoia del già visto come una catena di easter eggs ammiccanti, spesso non riuscendo appieno nel sorprendere ma senza però annoiare o divagare troppo. Anzi, gli è semmai imputabile una certa superficialità e difficoltà nella gestione dei vari protagonisti, ridotti a figurine di contorno all’avvento della nuova Fenice, come in un serie condensata a forza in un film per non perdere le fila del racconto.

Accusato generalmente di stanchezza, di mancanza di idee e spettacolarità, Dark Phoenix sembra invece un film appagato, dalla regia funzionale che tenta di riallacciare e portare a termine l’intera complessa tela degli X-Men (nella loro incarnazione rinnovata) facendo per la prima volta a meno dell’iconica figura di Wolverine e finendo col riunire Magneto e Professor X al “Cafè des vieux copains”, all’angolo di Rue de la Paix a Parigi, mentre si staglia nel cielo la scia di una Fenice e le diverse trilogie giungono a compimento.

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