Regia di Robert Altman vedi scheda film
Dopo un rapidissimo tris di opere corali e riuscite come I protagonisti-America oggi-Pret à porter (1992, 1993, 1994), Altman ci riprova con Kansas City: l'obiettivo è il medesimo, descrivere un quadro d'insieme che sia onnicomprensivo delle emozioni, delle situazioni, dei costumi, dei pensieri che attraversano un determinato contesto. Qui siamo nella città del titolo nell'anno 1934, cioè nel bel mezzo della grande depressione per gli Stati Uniti, ma in una zona relativamente prosperosa e in cui bianchi e neri vivono non esattamente in pace, ma senza pestarsi vicendevolmente i piedi; ampio è il ruolo che Altman decide di dare alle musiche, presenti lungo tutto l'arco del film e spesso e volentieri utilizzate in maniera diegetica (attinente alla scena rappresentata) mediante orchestre che si esibiscono dal vivo. L'atmosfera è quindi vivace e intensa, la ricostruzione dell'epoca è efficace, ma il difetto principale della sceneggiatura di Altman e di Frank Barhydt (già con il regista per America oggi e Quintet, del 1979) sta in una costruzione eccessivamente macchinosa della trama, tanto complessa che avrebbe meritato molto più spazio delle due ore scarse di questa pellicola. Fra gli interpreti spiccano Harry Belafonte (più noto come cantante, ma anche attore sebbene con una carriera di abbastanza basso profilo), Jennifer Jason Leigh (insopportabile nella recitazione iper-teatrale, incontrollata), Steve Buscemi, Miranda Richardson, Michael Murphy. Qualcosina in più, in totale, era legittimo aspettarselo. 5,5/10.
Kansas City, anni '30. Un bianco, Johnny, infastidisce un boss di colore, che lo fa rapire; il boss oltrettutto ha contatti influenti in politica e i tentativi di far liberare Johnny da parte della moglie sono tutti vani.
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