Regia di Stephen Hopkins vedi scheda film
Un filmone? No, ma lo vidi in sala ai tempi della sua uscita e mi piacque abbastanza. Ne conservai un ottimo ricordo. Riguardandolo, mi son accorto che risulta invecchiato ma piace ancora molto. Come Michael Douglas, attore per palati fini. Uh uh. Ah ah. Vero, Catherine?
Ebbene oggi recensiamo Spiriti nelle tenebre (The Ghost and the Darkness), diretto dal veterano Stephen Hopkins, regista di grandi ambizioni e su cui noi cinefili nutrivamo forti aspettative, purtroppo oramai smarritosi ed oscurato nel limbo del dimenticatoio malgrado avesse sempre lasciato intravedere il suo talento cristallino, sebbene altalenante, prodigandosi con ingegno, impegno e ferrea abnegazione nient’affatto disdicevole eppur non rimarchevole, nel realizzare pellicole forse non straordinarie e annoverabili fra i capolavori della Settima Arte più inestimabile, non pienamente compiute, probabilmente irrisolte e perfino a tratti irrisorie, esageratamente kitsch ma allo stesso tempo assai interessanti e non prive d’una attraente, peculiare, originale e personale inventiva in esse da lui profusa. Il carnet filmografico di Hopkins, infatti, lasciava intendere e presagire, ancora evidenziamolo e fortemente annotiamolo, una carriera, se non strepitosa e perfetta, perlomeno ben più qualitativamente appagante. In quanto diresse film notevolmente difettosi, sì, eppur decisamente a loro modo brillanti come Predator 2, Cuba Libre - La notte del giudizio e Blown Away.
Spiriti nelle tenebre doveva essere, difatti, uno dei film evento dell’annata in cui uscì e da noi fu distribuito sotto Natale del ‘96. Poiché in molti pensarono, per l’appunto, che nonostante l’argomento principale della trama e i suoi sviluppi ben si discostassero dal lieto e dolciastro periodo natalizio, sarebbe stato opportuno rilasciarlo nelle sale in un periodo nel quale la gente, in massa, si riversa nei cinema.
In parole povere, anche da noi in Italia s’optò per una release date da pienone e blockbuster delle grandi occasioni festive.
Ma Spiriti nelle tenebre non solo non divenne un campione d’incassi, bensì fu anche sonoramente stroncato dalla maggior parte della Critica. Comunque, non andò malissimo al botteghino.
Spiriti nelle tenebre, come stavamo accennando, lasciò dubbiosa e assai perplessa molta Critica, però a torto poiché, come cercheremo di specificare e brevemente disaminare nella nostra sintetica ma speriamo esaustiva analisi di tale seguente nostra opinione sottostante, il film da noi preso in questione, vale a dire naturalmente Spiriti nelle tenebre, con tutta probabilità non meritava assolutamente le pesanti stroncature che, all’epoca, ricevette in forma impietosa in quasi tutte le mondiali, micidiali e spietate, ricevute recensioni negativamente implacabili.
Sceneggiato dal compianto William Goldman, imprescindibile writer di molti rilevanti film con Dustin Hoffman degli anni settanta, quali ad esempio Papillon, Tutti gli uomini del presidente e Il maratoneta, anche di Butch Cassidy, Misery non deve morire e Potere assoluto, suadentemente ma non memorabilmente musicato da Jerry Goldsmith (Rambo), soprattutto fotografato dal superbo maestro delle luci Vilmos Zsigmond (Il cacciatore, Black Dahlia, Lo spaventapasseri), Spiriti nelle tenebre dura un’ora e cinquanta minuti che, a dispetto di quel che disse e tuttora dica molta snobistica intellighenzia superficiale e sbrigativa, avvincono e appassionano grazie alla sapiente, congegnata mistura diluitavi nella narrataci vicenda, tratta peraltro da una storia incredibilmente vera. Una vicenda avventurosa robustamente sorretta da un duo d’interpreti ottimamente affiatati e in discreta forma attoriale alquanto ineccepibile, cioè Val Kilmer e Michael Douglas. Il film si basa, in forma decisamente romanzata e adattata per il grande schermo alle hollywoodiane esigenze spettacolari non poco retoriche, insomma all’acqua di rose, sulle memorie del colonnello John Henry Patterson (interpretato da Kilmer). Il quale, a sua volta, romanzò per l’appunto un episodio realmente accaduto, riguardante la caccia efferata a dei maledetti leoni feroci.
Trama, ridotta all’osso per evitarvi disturbanti spoiler: l’ambizioso e valente, infallibile ingegnere Patterson viene assunto da un ricco magnate di nome Robert Beaumont (Tom Wilkinson), spregiudicato e cinico oltre ogni dire, affinché si rechi in Kenya, esattamente su una sponda del fiume Tsavo, per costruire un ponte che unisca due mondi fin a quel momento separati dalle acque...
Patterson parte dunque alla volta della colonia inglese situata nel caldissimo ed equatoriale luogo, sopra citatovi, per portare onorevolmente a termine la sua missione. Abbandonando la moglie Helena (Emily Mortimer) in dolce attesa d’un primogenito nascituro di sesso maschile.
Qui viene presto a conoscenza che la sua impresa, destinata ad entrare comunque nei libri di Storia, sarà però più complicata del previsto. Innanzitutto, la popolazione del posto soffre di malaria, inoltre dei temibili leoni invincibili, forse dai poteri sovrannaturali, stanno massacrando gli indigeni.
Paiono immortali e imprendibili. Riuscirà Patterson, coadiuvato dallo scafato cacciatore Charles Remington (Michael Douglas), a sconfiggere e debellare tale abominio partorito forse dal Maligno?
Opera dai molti pregi visivi, fascinosa e diretta con mano ferma, Spiriti nelle tenebre è però assai carente nei dialoghi, molto fiacchi e decisamente anacronistici, compresa una metafora di Douglas/Remington sul pugilato. Arte nobile che, per quanto sia antichissima, risalente addirittura a millenni infinitamente anteriori all’anno 1898 in cui è ambientato il film, nella maniera in cui modernamente, potremmo dire, viene pronunciata, appunto, la battuta di Douglas rivolta al personaggio di Kilmer, appare incommensurabilmente stonata cronologicamente rispetto alla fine del secolo scorso.
Detto ciò, a dispetto delle sue vistose difettosità, Spiriti nelle tenebre coinvolge appieno e ammalia, risentendo forse solamente d’un finale blando e poco magniloquente.
Se a dirigere questo film fosse stato Werner Herzog, sarebbe stato un capolavoro? La nostra domanda è alquanto retorica...
Effetti speciali animatronici firmati da Stan Winston e Oscar al miglior montaggio sonoro.
di Stefano Falotico
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