Regia di Sebastián Silva vedi scheda film
Torino Film Festival 36 – After hours.
In un ritrovo tra amici, ideato per trascorrere alcune ore in compagnia all’insegna di alcol e giochi sciocchi, il rischio di combinare qualche disastro è alto. Nei casi peggiori, può scapparci un incidente spiacevole, altre volte qualcuno potrebbe sentirsi semplicemente in disagio ed equivocare. In circostanze di questo tipo, anche il minimo sentore di essere discriminato è un serio incentivo all’aumento dell’ansia.
Un gruppo di amici sceglie di organizzare una festa di compleanno in uno chalet di montagna, un luogo appartato che consenta loro di fare casino senza dare nell’occhio. Tra tutti gli invitati, Tyrel (Jason Mitchell) è l’unico ragazzo nero e quando, tra uno scherzo e l’altro, si sente preso di mira, comincia a innervosirsi.
Un paio di battibecchi con Pete (Caleb Landry Jones) innalzano ulteriormente la tensione, nonostante in generale il clima rimanga in stile festa esagitata, ad esempio Alan (Michael Cera) non perde occasione per rivestire il ruolo di mattatore.
Anche quando il peggio sembra passato, Tyrel non riesce in alcun modo a tranquillizzarsi, al punto di pensare di andare a bussare alla porta dei vicini (Ann Dowd e Reg E. Cathey).
Similmente a quanto rappresentato in Nasty baby, con Tyrel il regista cileno Sebastian Silva torna a concentrare i riflettori su un individuo appartenente a una minoranza che, ritrovatosi in una situazione di potenziale pericolo, perde la sua proverbiale calma e con essa anche la razionalità.
Questa volta, dalla coppia di omosessuali si trasla su un ragazzo nero, protagonista di una composizione che somiglia a una crasi tra Scappa – Get out e un derivato qualsiasi del mumblecore.
Di conseguenza, ecco fiumi di parole al vento, con una generale atmosfera di festa che faticosamente maschera la stagnante perdita di tempo, in un film che già ha una durata ridotta e tende ad appartarsi, trasmettendo l’impressione di voler contenere i toni.
Per l’appunto, i vari sproloqui sono raramente pungenti - giusto Trump si becca degli improperi pesanti - andando occasionalmente a urtare la sensibilità di Tyrel, tanto da far scattare l’unico meccanismo portante, ovvero la reazione ansiogena del ragazzo.
Tuttavia, Sebastian Silva non affonda il colpo, limitandosi all’istigazione fino ad approdare all’epilogo senza piazzare nemmeno un fulmine a ciel sereno.
Quindi, quello che nasce (e muore) è un impasto genericamente insipido, in parte colorito dalla pimpante presenza di Michael Cera, autentico feticcio del regista (con lui ha recitato in The boring life of Jacqueline, Magic magic e Crystal fairy), con una lieve tonificazione ricavata da una manciata di spezzoni psicologicamente destabilizzanti e ben tre pezzi dei R.e.m. in scaletta (una sorprendente schitarrata in compagnia di Stand, It’s the end of the world as we know it in versione cd per sottolineare l’eccitazione da party, più Losing my religion piazzata impunemente sui titoli di coda), lasciati suonare quasi integralmente.
Una delusione, con il retrogusto della scocciatura.
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