Regia di Boots Riley vedi scheda film
Un film solo all'apparenza divertito, e invece seriamente divertente e “rabbiosamente” ancorato allo zeitgeist, come se Beat Takeshi collassasse in “Get Out”.
Ambientata in una Oakland, California, situata in un universo leggermente alternativo rispetto al nostro (ma mica poi tanto, eh), l'opera d'esordio del rapper Boots Riley (che oltra alla regìa scrive la sceneggiatura e coi suoi the Coup firma anche la colonna sonora assieme alla bravissima Merrill Garbus aka tUnE-yArDs), “Sorry To Bother You”, dialoga - se pur indirettamente - con alcune istanze - dal PdV dell'attivismo politico (uno dei leitmotiv è la questione "razziale" della voce/tono/inflessione/accento/cadenza, di recente alla ribalta anche in "BlacKkKlansMan") e rispetto al taglio e alla forma espressivi - del cinema suo contemporaneo (a tal proposito non si vorrà qui “scomodare”, ma solo citare di sfuggita e senza colpo ferire, Terry Gilliam e Michel Gondry), e penso ovviamente e soprattutto alle opere di Donald Glover [“Atlanta” - di cui LaKeith Stanfield (“Live Cargo”, “Get Out”, “BoJack HorseMan”, "Knives Out"), il protagonista (Cassius Green, pronunciabile come Cash Is Green...) del lungometraggio qui trattato, è uno dei personaggi principali - e “Guava Island”, diretto da Hiro Murai] e a quelle di Jordan Peele (la già citata “Get Out” e “Us”), ma anche ad altre meno conosciute come “Velvet BuzzSaw” di Dan Gilroy [l'ambiente delle gallerie e delle mostre d'arte, qui declinato in relazione alle performance di Detroit, una semi-divina...
...Tessa Thompson ("War on EveryOne", "WestWorld"), parente stretta della Maude di “the Big Lebowski”, però subalterna e non egemonica] e “Zoom” (le sequenze animate, nel film di Pedro Morelli con tecnica tradizionale, qui invece utilizzando la plastilina a passo uno), e, perché no?, il più antecedente “Marquis” di Henri Xhonneux e Roland Topor (gli esseri animameccanotronici: effetti speciali dei geniali veterani Alec Gillis e Tom Woodruff) e il “Tutta la Vita Davanti” di Paolo Virzì (il call-center, certo, ma anche la risposta alla domanda esistenzial-pessimista riguardante il lascito testamentario e il Non Più del Dopo di ognuno che lui pone a lei ricevendo come risposta: “Quando ti bacio non lo faccio per i posteri!”), senza dimenticare il riferimento più diretto, il “Lord of War” di Andrew Niccol (Power: Energia, FirePower: Armi da e Potenza di Fuoco, ManPower: Mano d'Opera), attraversato dalle maschere di contorno presenti nei Barnum di Checco Zalone e Cetto LaQualunque (per non citare - questo sì, atto sacrilego - il Ferreri “minore” di fine '70 e inizio '90, e infatti non l'ho citato, e all'occorrenza negherò tutto).
Completano il cast Jermaine Fowler, Omari Hardwick, Terry Crews, Armie Hammer, Kate Berlant, Danny Glover e Steven Yeun (“Okja” e “Burning”).
Il white-washing del trio di primattori è affidato a David Cross, Patton Oswalt e Lily James, mentre Rosario Dawson è la Signorina Ascensore / Miss Elevator.
Fotografia, che s'accoda alla saturazione al neon di NWR (Only God Forgives, the Neon Demon, Too Old to Die Young), Paul Schrader (“Dog Eat Dog”) e dei due McDonagh, Martin e John Michael (“Seven PsychoPaths” e “War on EveryOne”), di Doug Emmett (“the To Do List”, “the One I Love”), con una bellissima luce pre-finale che ricorda, rimanendo in zona Donald Glover, "Feels Like Summer". Montaggio di Terel Gibson (“the Kings of Summer”, “the Ballad of Lefty Brown”). Produce, tra gli altri, Forest Whitaker (che presta la voce ad un EquiSapiens). Distribuisce Annapurna.
Piccole "delizie", le fotografie cangianti.
Scusate il disturbo, volevo semplicemente consigliarvi "Sorry To Bother You", l'opera d'esordio di Boots Riley, un film solo all'apparenza divertito, e invece seriamente divertente e “rabbiosamente” ancorato allo zeitgeist, come se Beat Takeshi collassasse in “Get Out”. Pronto? Pronto? M'andateci voi a fare in culo!
“And fuck chlamydia, too!”
* * * ½ (¾)
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