Regia di Reinaldo Marcus Green vedi scheda film
Un film di certo ambizioso, che sceglie di evitare i giudizi sommaria e cerca di mettere in scena letture e punti di vista diversi che nascono da bisogni e stati d'animo diversi, ma che al di là dei buoni propositi si trascina verso il finale stancamente dando una forte sensazione di inconcludenza.
A Brooklyn, New York, un omone nero, disarmato e benvoluto da tutti, viene ucciso per la strada dalla polizia in presenza di testimoni, uno dei quali riprende tutto con il telefonino. Intorno a questo evento ruota Monsters and Men, primo lungometraggio di Reinaldo Marcus Green, regista afroamericano nato e vissuto nel quartiere. In seguito al brutale assassinio non prende le mosse il consueto film d'inchiesta (non è un fatto realmente accaduto, anche se non sorprenderebbe se lo fosse), e nemmeno un film a tesi sulla violenza razzista delle forze dell'ordine. Dopo aver narrato la vicenda tenendola fuoricampo, Green (che dice di essersi ispirato ad Elephant di Gus Van Sant) concentra il proprio racconto su tre individui (tre neri) che direttamente o indirettamente ne vengono coinvolti, e ciascuno dei quali si trova, in conseguenza dell'accaduto, a dover fare una scelta etica o morale importante che potrà costargli molto.
Il primo è il testimone oculare e autore del video, un ragazzo poco più che ventenne con già una figlia a carico e la compagna di nuovo incinta: dovrà decidere se pubblicare quella prova schiacciante nella speranza che della morte dell'amico venga fatta giustizia, ma sapendo bene che i responsabili lo conoscono, lo minacciano e lo braccano. Il secondo è un ragazzo del quartiere che è passato per lavoro dall'altra parte della barricata: fa il poliziotto e non ha assistito al fatto, ma in vista del colloquio con la disciplinare, che gli chiederà conto dei comportamenti del collega accusato di omicidio, si trova a cercargli attenuanti quando ne parla in casa e a litigare con la collega di pattuglia - che lo difende acriticamente - quando è a lavoro, trovandosi schiacciato tra prospettive opposte. Il terzo è uno studente gran promessa del baseball, che in seguito ad una perquisizione 'finita bene' subita da parte della polizia sente il dovere di impegnarsi per la memoria del morto, rischiando di mettere a repentaglio il proprio futuro la sera prima dalla partita che potrebbe fargli guadagnare un contratto con una grande squadra.
In un film diviso in tre segmenti che hanno ciascuno un proprio senso, la parte migliore è forse l'incipit: prima ancora che il primo inizi e il testimone (che ne sarà il protagonista) riprenda l'assassinio, quello che diverrà protagonista del secondo (e del quale ancora si ignora la professione) canta serenamente e a squarciagola in macchina Let's Stay Together di Al Green prima di venir d'improvviso fermato dalla polizia. La tensione creata con semplicità da questa scena riecheggia per tutto il primo segmento, probabilmente il più "canonico" ma con altrettanta probabilità il meglio riuscito, per scemare durante il secondo e non pervenire nel corso del terzo (il più debole), in un film di certo ambizioso, che sceglie di evitare i giudizi sommari e cerca di mettere in scena letture e punti di vista diversi che nascono da bisogni e stati d'animo diversi, ma che al di là dei buoni propositi si trascina verso il finale stancamente dando una forte sensazione di inconcludenza.
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