Regia di François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell vedi scheda film
Gli anni Ottanta sono diventati uno specchio deforme per rileggere la Storia attuale. L’America edonistica di Reagan e Bush non è poi così lontana da quella di Trump (e prima di Obama). Lo stesso dicasi per l’Europa e ogni suo singolo paese che, ognuno con le proprie peculiarità, ha vissuto gli Ottanta come un decennio di innovazioni artistiche ed estetiche, per passare in seguito attraverso i Novanta, che quando verranno riscoperti risulteranno ancora più incisivi e seminali del decennio precedente, per approdare nel nuovo secolo, consumato dalle nuove tecnologie che spersonalizzano l’individuo, frantumano le identità e allontanano l’uomo dalla realtà, e un secolo, inoltre, funestato dai rigurgiti nazionalistici, fascisti e da un iperedonismo ben oltre i limiti del pornografico.
Così, sulla scia del successo di Stranger Things (Duffer Bros., 2016-in corso), anche il terzetto composto da François Simard e i fratelli Whissell, attingono perfettamente dall’immaginario eighties, citano Spielberg e strutturano il loro film secondo i canoni del cinema di genere dell’epoca, ispirandosi appunto all’operazione ampiamente riuscita di Stranger Things.
Abbiamo il bravo ragazzo incompreso, il ciccione buffone buono come il pane, il nerd saputello e il ribelle metallaro vestito di nero tutto seghe e fighe immaginate. L’assortimento dei tipi è quindi stereotipato, ma tratteggiato con cura. Ogni giovane protagonista ha affondi caratteriali che lo allontanano dal tipo per avvicinarlo a un personaggio più complesso, anche se sempre di facile e immediata lettura e in linea con l’economia narrativa. Dopotutto è un thriller, ci sono regole e schemi da seguire. Per esempio, di Summer of ’84, è apprezzabile lo sguardo e la grammatica tipicamente anni Ottanta. La coreografia delle scene, l’impostazione e il taglio delle inquadrature, i movimenti di macchina, gli zoom, il tema musicale, unitamente ad eventi ed esistenti, arrivano direttamente dal decennio degli slasher e dei primi seminali serial killer movies, sui quali passi s’avventura il terzetto in regia regalandoci una pellicola spassosa, divertente, ironica, commovente e dalla tensione ben calibrata.
A un passo dal capolavoro per qualche piccola scelta a mio parere infelice, come il finale aperto invece di uno scontro diretto con il serial killer, Summer of ’84 è tra i thriller più riusciti degli ultimi tempi nonostante sia soprattutto un esercizio di stile a cui si può perdonare questo eccesso di manierismo nostalgico – aspetto che invece non intacca il sottovalutato film gemello I Am Not a Serial Killer (Billy O’Brien, 2016). Inoltre, i quattro ragazzini protagonisti sono straordinariamente in parte.
Efficace, in ultimo, la frase ricorrente, il mantra del protagonista in pieno turbinio ormonale – tant’è che la ricerca e l’ossessione per il serial killer di quartiere sembra essere una deviazione dall’ossessione per l’atto sessuale (del gruppo è infatti il personaggio che non si masturba mai) – una frase che si ripete spesso nella pellicola e che dà la chiave di lettura del film e dell’America di Reagan come quella di Trump: anche i serial killer sono vicini di casa di qualcuno. Inquietante. Sembra comunque un film di Joe Dante, ma meno ironico – viene citato pure Gremlins (Joe Dante, 1984).
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