Regia di Sam Levinson vedi scheda film
Scritto e diretto da Sam Levinson, figlio di Barry, alla seconda regia dopo Another Happy Day del 2011, Assassination Nation è una satira cinica e spietata che si da il compito, entusiasticamente voluta e abbracciata, di fare letteralmente a pezzi l’ipocrisia della moderna società americana attraverso una narrazione volutamente (necessariamente?) urlata e ipertrofica, eccessivamente sopra le righe a partire da un prologo che letteralmente sbatte, a tutto schermo, in faccia allo spettatore i suoi temi (ovvero e nell’ordine ABUSO, OMOFOBIA, TRANSFOBIA, SESSISMO, MASCOLINITA’ TOSSICA, VIOLENZA, BULLISMO e RAZZISMO).
Tra esplosioni di violenza e vezzi artistici, tra un ghigno nichilista e un’iper estetizzazione di un’immagine dall’aspetto patinatissimo, formato da split screen, piani sequenza e luci al neon dai colori rigorosamente flashati in bianco, rosso e blu, o tra un certo manierismo per l’assurdo e l’adesione totalizzante all’exploitation esagerata e beffarda dei pinky violence degli anni’70, il regista sembra volerci dire che pur nella sua esagerazione questa é davvero, senza filtri o accomodamenti di sorta, il vero volto della società americana.
La commedia pseudo adolescenziale dell’inizio vira quindi a un certo punto verso la distopia più violenta, cinica e dissacrante dando vita a una vera e propria caccia alle streghe (non a caso il film é ambientato a Salem) estremamente attuale, a partire dalla totale dipendenza della società ai meccanismi comportamentali indotti dalla rete e dai social, mostrando una provincia americana 2.0 profondamente trasformata (fagocitata?) dall’avvento di internet e dalle maschere dei social media, tra una privacy praticamente impossibile e la condivisione immediata e inevitabile di informazioni, con banalizzazione anche emotivamente incongrue di situazioni ed eventi.
Quindi l’amplificazioni di sentimenti, amori e odi privi di qualsiasi controllo e conseguentemente di invidie e rancori che portano a sopraffazioni che deflagrano in una seconda parte dominata dall’anarchia e dalla violenza (ricordando anche troppo la saga de La notte del giudizio creata da James De Monaco da cui riprende anche l’iconografia delle maschere) in quanto l’uomo, privato di vincoli legali o etici, é portato a perdere il controllo e a seguire quindi le dinamiche del branco.
Il risultato è una pellicola che accatasta tra loro temi fondamentali (ma anche in modo fondamentalista) e tristemente attuali con un gusto per l’eccesso, tra rimandi e significati che si sprecano (da Carrie di De Palma e Revenge a Bling Ring di Sofia Coppola o a Spring Breakers di Harmony Korine, passando per Brett Easton Ellis per arrivare alla saga di The Purge e, forse,, addirittura ai pinku eiga giapponesi) per una parabola della vendetta che si lega indissolubilmente alla personale ricerca di un’immagine (cinematografica) scevra da imposizioni o da qualsiasi condizionamento.
L’intento, ovviamente, è quello di decostruire e demolire il perbenismo di facciata della classica provincia americana ma essendo il tema non proprio originalissimo e ormai abusato, al cinema come in televisione, é piuttosto difficile riuscire ad affrontarlo in modo originale e convincente.
Se poi il film irride anche se stesso e i suoi protagonisti o addirittura le sue stesse velleità politiche e sociali rimarcando una certa fumettosità nel suo imperante didascalismo sociale inevitabilmente mostra anche il fianco in quanto ennesimo espediente politicamente corretto di fare cinema, iperconsapevole e di facciata, perdendosi però nella retorica più semplicistica e furba, cavalcando l’onda di un movimento sempre molto caro a Hollywood ma smascherandone paradossalmente per se stessa proprio quelle stesse falsità, di perbenismo e di correttezza (più politica che sociale), che vengono criticate nella pellicola.
VOTO: 5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta