Regia di Elizabeth Chomko vedi scheda film
Ogni età presenta il suo drappello di sfide aperte, diverse per quantità, livelli di difficoltà e ruolo rivestito. I più giovani sono travolti dalla crescita e quindi dalle sollecitanti trasformazioni in atto, subito dopo sono sottoposti alle scelte sugli studi, che introducono nella fase successiva, indicando una via che potrebbe bollare in modo determinante una vita intera (il lavoro). Da adulti, c’è da agguantare l’affermazione personale in più settori, uno stato di fatto che consenta di essere stabilmente soddisfatti, da cui ricavare le forze indispensabili per affrontare un mondo pronto a farti lo sgambetto in qualsiasi momento. Giunti nella terza età, sopraggiunge il delicato momento di accettare la decadenza fisica, la progressiva perdita degli affetti, il passaggio di consegne a figli e nipoti.
Seppur con incidenze differenti, con singole assegnazioni degli spazi dedicati, What they had predispone una stesura che giustappone questa schiera di condizioni tipiche, redigendo un dramma che pone degli interrogativi pressanti, interpretandoli e risolvendoli tra prese di coscienza e inevitabili titoli di coda.
Quando la salute di Ruth (Blythe Danner – Ti presento i miei, Nei miei sogni), affetta dal morbo di Alzheimer, precipita, Bridget (Hilary Swank – Million dollar baby, Boys don’t cry) vola da lei insieme a sua figlia Emma (Taissa Farmiga – The final girls, Bling ring).
Nel giro di poche ore, capisce di essere in una posizione scomoda, tra l’incudine e il martello, incastrata tra le divergenti volontà del fratello (Michael Shannon – Take shelter, Revolutionary road), che vorrebbe far ricoverare Ruth in un centro specializzato, e del padre (Robert Forster – Jackie Brown, Paradiso amaro), che non ha alcuna intenzione di separarsi dalla compagna che è stata al suo fianco per una vita intera.
Una congiuntura particolarmente sofferta per tutta la famiglia Ertz, uno spartiacque durante il quale ognuno dei componenti dovrà fare i conti con se stesso, con quello che lo attende, in alcuni casi con un futuro ancora da (ri)scrivere.
Presentato al Sundance Film Festival 2018 per poi uscire nelle sale americane nel mese di ottobre dello stesso anno e finire in Italia all’interno del variegato catalogo Netflix, What they had è una pellicola di stampo prevalentemente drammatico insediato nel nucleo familiare, completo di ulteriori sfumature opportunamente razionate.
Innanzitutto, affronta il tema della vecchiaia, e con esso la paura della solitudine, di perdere le uniche cose che danno un senso al tempo che trascorriamo in questa vita, affiancato dalla malattia, segnatamente neurodegenerativa e in uno stadio avanzato, che vede l’annullamento della memoria, di ciò che siamo (stati).
Da questo punto d’ingresso, rovista nel mutevole e controverso rapporto tra genitori e figli, che nel corso del tempo sposta progressivamente il suo asse, con le responsabilità che passano da una parte all’altra, creando ripetuti attriti quando si presentano criticità che invitano tutti i coinvolti a trovare una soluzione condivisibile.
Il film scritto e diretto con tatto dall’esordiente Elizabeth Chomko guarda in faccia la realtà, che – come ripetuto più volte - non è mai tutta rose e fiori, conscio di quanto sia complicato prendere decisioni destinate a cambiare radicalmente un equilibrio instaurato da tanti anni, così come consapevole della necessità di prendere il toro per le corna, di non accettare tacitamente dinamiche che interiormente aprono ferite profonde.
Questa disamina viene elaborata in permanente altalena tra toni diversi, con uno sfondo drammatico, una matrice esistenziale e anche porzioni più leggere, giovandosi di un cast affiatato, nel quale ognuno dei validi interpreti copre il suo settore senza invadere quello altrui, per quanto tra tutti emerga soprattutto Hilary Swank , che non si lascia sfuggire di mano l’opportunità di sfoderare le sue significative qualità espressive (aggiungo che, purtroppo, non le capita spesso quanto meriterebbe).
Nel complesso, What they had non si pone grandi obiettivi ma riesce a raggiungere ciò che è alla sua portata, quanto alberga nel centro del mirino. Ha una ricetta sicura, che non offre slanci immarcabili ed è al contempo esente da fastidiose sbrodolate, e generalità facilmente individuabili, si prende i suoi tempi imbastendo un fraseggio che non insegue i ritmi spasmodici di oggi né la ricerca del colpo di scena a ogni costo.
Tra incombenze da non rinviare e pensieri che aleggiano in silenzio procurando fratture invisibili, svincoli obbligati e strade a lunga percorrenza, corazze e ventri molli, contrapposizioni e armonie, rimpianti e risentimenti, fallimenti e riscatti.
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