Regia di Debra Granik vedi scheda film
Dopo averci lasciati tutti senza fiato nel 2010 ed essere riuscita contemporaneamente a fare incetta di riconoscimenti in tutte le salse (anche 4 nomination agli Oscar, malamente disattese) e a lanciare nell’iperspazio di celluloide il grande talento (anche questo, poi, malamente usato) di Jennifer Lawrence grazie all’indimenticabile “Winter’s Bone”, Debra Granik si conferma raffinata regista di qualità, a buon titolo appartenente a quell’universo silenzioso, discreto, incisivo, meritorio di cineasti intelligentemente ai margini dello star system così come comunemente percepito. E allo stesso modo conferma la sua istintiva, felice affinità con il mondo naturale, i boschi e l’aria pulita, che di nuovo sa filmare (esteriormente ed interiormente) con evidente maestria.
“Leave No Trace” però riesce, a mio parere, ad andare ancora un passo più avanti: ho letto nelle recensioni e nei commenti vari a questo film, di una storia che vorrebbe unire i destini di un padre ed una figlia nella comune, disperante ricerca di una dimensione che sia loro consona. In realtà, io trovo che il film parli prevalentemente di una sostanziale incomunicabilità tra i due, di una diversità ineludibile, truccata e nascosta da una ribellione infrascata nel fitto di una vita ombrosa, selvatica e primitiva che è all’apparenza condivisa, ma che col procedere della narrazione si rivelerà appartenere solo al padre (e forse neppure a costui, se si considera il suo passato traumatizzante di combattente in guerre lontane), mentre la giovanissima figlia dimostrerà di avere tutt’altre ambizioni e visioni della vita, dalle quali deve restare suo malgrado separata a causa di quel filo sottile e tenacissimo che è un sincero ed assolutamente ricambiato amore verso il genitore.
E la vera disperazione espressa dal film è proprio questo: non è il non riuscire a trovare, per la coppia, il giusto stile di vita, ma il dover accettare che gli stili di vita ricercati sono due, e sono diversi, e sono incompatibili fra di loro e che per potersi realizzare, i due sarebbero costretti a rinunciare l’uno all’altra con grande dolore. E’ da questo dolore, più che dai canoni di una società civilizzata (che pure li vorrebbe aiutare e li sostiene in tutti i modi) che Will e sua figlia Tom scappano, rifugiandosi assurdamente ai suoi margini.
Chissà se anche a Thomasin McKenzie toccherà in sorte una fulgida carriera come quella toccata poi alla Lawrence... i presupposti ci sono, magari la Granik, oltre che essere brava, porta anche fortuna... Comunque vada, ottimo film.
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