Regia di Debra Granik vedi scheda film
Otto anni dopo lo splendido "Winter's Bone", la Granik torna con un film ancora ambientato nella wilderness americana, ma questa volta non sono gli Appalachi violenti dell'est ma sono gli stati del nord ovest, l'Oregon e Washington, a essere co-protagonisti insieme a due figure raccontate benissimo, un padre e una figlia. Un film che inizia lento e vago ma che cresce tantissimo mano a mano che la storia si apre, fino a commuovere e colpire nel profondo. La Granik racconta una vicenda di solitudine cercata, di fuga, di un padre (un ottimo Ben Foster) reduce di guerra, che perduta la moglie si rifugia, scompare, nel parco della città di Portland, il Forest Park, insieme alla figlia (altra splendida interpretazione, stavolta di Thomasin McKenzie). Vivono della natura, in una capanna improvvisata, cercando di restare lontani dalla società. Quando questa si accorge di loro e prova a "rieducarli", imponendo le regole a cui tutti noi inconsciamente soggiaciamo, prendono un'alta volta la strada dei boschi, senza una meta precisa. Il film pone domande profonde sulla società di oggi, sui rapporti umani, sulla natura e sull'amore, in questo caso fra padre e figlia. Un lavoro girato quasi come un documentario, con un passo lento e maestoso, fotografato benissimo, dove non c'è mai rabbia, dove non c'è rumore, dove c'è la solitudine nel suo senso più ampio, dove c'è il blues di un treno merci, di una pioggia, di una chitarra acustica che suona attorno al fuoco. Opera magnifica, lontana dalle asprezze di "Winter's Bone", ma persino superiore nel suo svolgimento. Per me, al momento, migliori film dell'anno.
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