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Ombre

Regia di John Cassavetes vedi scheda film

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La recensione su Ombre

di Peppe Comune
8 stelle

Lelia (Lelia Goldoni), Ben (Ben Carruthers) ed Hugh (Hugh Hurd) sono tre fratelli afroamericani di pelle chiara. La donna frequenta un circolo esistenzialista della buona borghesia cittadina, sogna l’amore di una vita ma le delusioni sono più frequenti. Ben e il più inquieto dei tre, suona la tromba e vorrebbe vivere facendo il musicista, ma intanto se ne va in giro con due amici bianchi in cerca di donne, gioco d’azzardo e risse. Hugh è il più grande e anche il più assennato, canta in un night club ma non ha un grande talento. Tuttavia, ha la possibilità di essere scritturato per uno spettacolo di una certa importanza. Tre caratteri diversi ma molto uniti tra di loro, tre fratelli che combattono con fierezza il razzismo latente che anche in una megalopoli come New York fa sentire il suo peso sociale.

 

Ombre (film 1959) - Wikipedia

"Ombre" - Scena

 

Non sarebbe giusto parlare di un film come “Ombre” senza prima non sottolinearne la portata rivoluzionaria. Risulterebbe riduttivo ai fini di un qualsiasi tentativo di analisi critica del film d’esordio di John Cassavetes limitarsi a descriverne i pur validi contenuti narrativi omettendo di relazionarli, sia con il modo in cui sono stati rappresentati, sia con il contesto culturale in cui hanno preso vita. Falsi raccordi a proiettare “altre” forme della città, attori presi praticamente dalla strada, uso stilizzato del sonoro, dialoghi ridotti all’essenziale, forma quasi documentaristica. Sono questi gli ingredienti di un film che segnò l’esordio alla regia di uno degli autori più incidenti del cinema americano (e non solo direi), capace di penetrare nell’anima più contraddittoria del suo paese rimanendo a fissare lo sguardo sull’irrisoria corruttibilità dei suoi geni identitari.  

Ecco, l’importanza di “Ombre” sta tutta nell’aver aperto la strada ad un modo diverso di fare cinema rispetto ai canoni tradizionali, di aver elaborato un'idea del guardare più libera di accompagnarsi all'estemporaneità dei pensieri sciolti che guidata con sapienza dentro una storia dai confini già stabiliti. Non è un caso che “Ombre” sia stato un film che ha ispirato molti ad intraprendere la strada del cinema, fosse solo per come fa emergere il coraggio di seguire la strada che più si addice alle particolari inclinazioni creative. Giusto per fare un esempio abbastanza illustre, nella sua “carta bianca” Martin Scorsese ha espressamente ammesso che “Ombre” è il film che per primo gli ha fornito gli input necessari per intraprendere la sua carriera cinematografica, quello che gli ha dato la pratica dimostrazione che il cinema si poteva iniziare a fare anche solo attingendo dalle poche cose che si avevano a disposizione. 

“Il film che avete visto è il frutto di un’improvvisazione filmica” questa è la didascalia che chiude il film, e a tal proposito, a me è venuto spontaneo domandarmi : le parole descrivono la verità di ciò che effettivamente si è fatto con la macchina da presa o è un modo ironico per dichiararsi altro rispetto all’immaginario corrente ? Io propendo per la seconda ipotesi perché “Ombre”, è sì un film innovativo e antinarrativo, dai connotati decisamente anarchici si potrebbe dire, ma non si può dire che non sia un’opera pensata, meditata, voluta. Quella di Cassavetes è infatti un’eresia consapevole e, in ragione di questo, il suo film d’esordio viaggia con la leggerezza tipica di chi sa sempre dove vuole andare a parare : libero come il jazz che ne fa da pregnante supporto narrativo (di Charles Mingus) ed esile come le aspirazioni insoddisfatte dei tre protagonisti. 

Lelia, Ben e Hugh sono tre anime allo sbando avvolte negli umori tentacolari di New York, allo stesso modo in cerca di un proprio posto nella società e a diverso modo disilluse dalla vita loro. Le loro peripezie sono colte nella loro essenzialità, in momenti tanto emblematici quanto fugaci, quanto basta per farne il cuore pulsante di un paese attraversato da profonde e lancinanti contraddizioni. 

Il film inizia inondando l'attenzione dello spettatore di tracce sonore che si sovrappongono l'un l'altra senza soluzione di continuità. Urla sguaiate, rumori indistinti, musica inascoltabile, suoni disarmonici portati fino al limite del disturbante, quasi una dichiarazione di intenti ad anticipare un canovaccio narrativo che tende alla disarticolazione della storia per liberarla dei “soliti” canoni consolatori. La regia di John Cassavetes accompagna i tre fratelli facendo emergere dall’apparente improvvisazione dello sviluppo narrativo diversi temi importanti : la marginalità degli afroamericani, il razzismo strisciante, le illusioni di cartapesta generate dall'american dream. Temi raccontati per quelli che sono, con l’immediatezza di uno sguardo che non può dissimulare la verità o la perentorietà di uno schiaffo che non può esimersi dal riparare un torto. Ed è proprio questa sapienza narrativa travestita di minimalismo ad aver reso “Ombre” un’opera importante nel panorama del cinema indipendente (e non solo), un film che è come se avesse tolto un tappo a tutta quella creatività che voleva solo un pretesto per uscire all'aria aperta.  

Poi “Ombre” segna l'esordio alla regia di un autore seminale come John Cassavetes che già qui lascia intravedere alcuni aspetti tipici che caratterizzeranno nel profondo la sua poetica, quelli che lo porteranno ad analizzare lo status sociale del suo paese attraverso i caratteri inquieti della medio-alta borghesia. Intesi come delle ombre che non si possono staccare dalla prossimità della luce. 

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