Regia di Jesse Peretz vedi scheda film
La produzione Apatow americanizza Hornby e finisce immancabilmente per banalizzarlo. Si va per una rigorosa (più o meno) trasposizione del romanzo, che però resta sterile. Film sufficiente, ma occasione persa per fare qualcosa di più.
Valutare un film dopo aver letto il romanzo da cui è tratto è sicuramente molto più difficile, specialmente se si ama lo stile unico di un autore peraltro molto "cinematografico" come Nick Hornby, specie se si è amato "Juliet, Naked", romanzo in cui Hornby riesce a creare ancora una volta (dopo la sitcom "Barbara (& Jim)" del libro "Funny Girl") una celebrità fittizia e di tratteggiarla talmente bene che sembra essere reale. Se si legge il libro, sembra davvero che questo Tucker Crowe sia un cantante (country, non rock alternativo/indie come nel film) realmente esistito (con tanto di capitoli con una finta descrizione tratta da Wikipedia). L'arguzia, il cinismo e il delirio dei dialoghi quando il libro prende corpo e accelera sono la qualità maggiore dei libri di Hornby, che non è certo un "autore comico" ma che riesce a creare romanzi a tratti esilaranti.
Ecco, a posteriori proprio il diverso modo di vedere il mondo e per certi versi l'ironia fa storcere il naso sul connubio tra Hornby e Apatow Productions, dando la netta sensazione che questo "Juliet, Naked" sia finito in mani sbagliate.
Succede allora che in tutta la prima parte, invece di caratterizzare bene i protagonisti e intersecare le relazioni tra Annie e Duncan e tra Tucker e il figlio Jackson, ci si concentri soltanto su una parte del racconto di Hornby, la serie di mail tra Annie e il musicista Tucker Crowe, per giunta riportandole nel mondo del 2018 (il libro è uscito nel 2009) con un uso della tecnologia dello smartphone che è eccessiva, fredda e del tutto pretenziosa.
Per quanto si cerchi di non abbandonare troppo il libro (salvo poi deviare su un particolare decisivo, ovvero la figlia di Tucker che nel film ha un parto anticipato che lo porta a Londra: no. Nel libro la figlia di Tucker ha un aborto spontaneo e l'artista non diventa nonno. Ancora più marchiano però è lo stravolgimento della vicenda della figlia Gemma con la storia del bano del locale, un inserimento forzatissimo che nulla ha a che vedere con la coerenza che c'era nel libro), si ha una trasposizione che sembra girare attorno ai punti cardine del libro senza mai centrarli e capirli veramente, si vede un film piuttosto sterile che abbandona (a parte un paio di battute riprese pari pari dal testo) il sarcasmo di Hornby, col risultato di americanizzarlo e di falciare via i due terzi della comicità del libro, peccato devastante. Quindi si ha una trasposizione più o meno rigida, ma poco incisiva.
Oltretutto il peccato enorme è quello di rendere la figura di Duncan piuttosto perimetrale nella storia, quando nel libro è invece centrale: ci si concentra solo su Annie e Tucker, quando invece è il terzo cardine a dare un vero senso alla storia. Manca così (viene soltanto accennato) il tema dell'ossessione che Duncan ha per Tucker Crowe, finendo anche qui per banalizzare un aspetto importante del romanzo.
Peccato perché alla fine senza strafare, il film risulta piacevole, non è certo un lavoro da impacchettare e buttare via, anzi si ha la sensazione che il casting sia stato perfetto: Ethan Hawke è un Tucker Crowe credibile (per quanto gli spunti di "autoironia" che ho letto da qualche parte a mio modo di vedere non esistono, le battute sono più o meno quelle che si leggono nel libro), Chris O'Dowd ha davvero l'aria giusta per creare un personaggio che sarebbe stato da approfondire molto più e meglio, mentre Rose Byrne riesce anche a deliziare a tratti.
C'erano insomma le basi per fare qualcosa di più, probabilmente serviva davvero una linea guida diversa in fase di produzione.
Finisce quindi per essere un film sì sufficiente, ma anche una discreta occasione persa. Conferma del fatto che davvero con Apatow si hanno dei limiti ben precisi, più di tanto non si può fare.
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