Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
L’inoffensivo Marcello è posseduto da un demonio. Un’entità devastante che si insinua nella sua esistenza e la riduce in rovina senza pietà, senza esitazioni, senz’anima. Tutto finisce per bruciare nelle fiamme dell’inferno che Simone scatena intorno al debole dogsitter: il negozio di toletta per cani a due passi dal mare di una sconsolata periferia romana, il rapporto di fiducia con gli amici del quartiere, la tenera frequentazione con la figlia. In fumo, tutti i tentativi di consolidare, con la forza di un ottimismo difficile da decifrare, una quieta esistenza il più possibile lontana dal Male.
Dogman è la storia cinematografica (Nastro d’Argento a Venezia nel 2018 più una messe di altri premi) di colui che a fine anni Ottanta del secolo scorso balzò agli ‘onori’ della cronaca nera come Er Canaro (l’uomo dei cani, la traduzione dal dialetto romano), Pietro De Negri, che tolse in modo brutale dalla faccia della terra un bandito di quartiere in combutta col quale aveva commesso alcuni crimini, tra cui rapine e spaccio di stupefacenti. Ma è soprattutto un’opera che racconta come la disperazione e la follia che da essa può scaturire, possono trasformare il più mite degli uomini in un sanguinario assassino.
È un piccolo-grande film col quale Matteo Garrone (Pinocchio nel 2019, la sua ultima fatica), uno dei migliori registi italiani contemporanei, dimostra ancora una volta di essere il vero maestro del neorealismo del Duemila cui, insieme al degrado di un’Italia perennemente in crisi economica e di valori, è aggiunta una violenza spesso bestiale, che tutto governa e conclude.
Er Canaro di Garrone è un sorprendente Marcello Fonte (visto in Io sono tempesta, sempre nel 2018 e per Dogman insignito del Prix d'interprétation masculine a Cannes), attore calabrese al suo primo impegno da protagonista assoluto, che ci conquista sin dai primi fotogrammi. Il suo personaggio è un misto di straziante bontà fanciullesca – che si traduce anche nella sua profonda empatia con i cani – e vulnerabilità al cospetto della tentazione di violare le più basilari leggi della convivenza civile. Il suo volto è una maschera che rimanda al più giovane Carlo Delle Piane ma con una più naturale propensione a trasmettere allo spettatore una drammaticità realistica che garantisce immedesimazione istantanea nelle emozioni del suo personaggio. Si noti, a tal proposito, la lunga inquadratura in primo piano, poco prima dei titoli di coda, sul volto lacerato e dallo sguardo sperduto dell’uomo ormai per sempre condannato quando tutto, alla fine, è compiuto. E il Male ha vinto.
Nota di merito anche per il comprimario Edoardo Pesce (per lui David di Donatello come miglior attore non protagonista, bravo anche nel passabile Non sono un assassino, nel 2019), chiamato all’improbo compito di dare corpo a un cattivo demenziale e dalla brutalità incalcolabile. Efficaci le prove dei ‘romanacci’ Adamo Dionisi (il terribile zingaro di Suburra) e Francesco Acquaroli (anche lui in Suburra – La serie, nei panni del boss Samurai). Un film da non perdere. Voto 8,9.
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