Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Ottimo film, in cui Garrone ha l’accortezza intelligente di non mostrare mai in toto la violenza, piuttosto puntando lo sguardo sull’ambiente degradato e sulla vita di estrema borgata, sui suoi abitanti, i loro caratteri e la loro psicologia. Tutto perfettamente illustrato.
Squarcio e sguardo pasoliano ambientato nel ventunesimo secolo quello del bravo Matteo Garrone, proprio in quei quartieri confinati nella lontana periferia romana dove sembra di vivere ai confini del mondo. Palazzoni che si ergono sulla sabbia tra bassi edifici vecchi e sporchi, frequentati da piccoli commercianti più vicini alla malavita che alla legalità, campionario di individui anch’essi ai confini ma dell’umanità: violenti e trafficanti, slot machine, compro-oro di quart’ordine, pozzanghere che non si asciugano.
In questo spettro di civiltà c’è anche un “canaro”, il negozio in cui Marcello lava e pettina cani di ogni taglia. Sono, oltre ovviamente alla piccola figlia che vede di tanto in tanto e che vive con la madre, il suo vero amore, la sua unica passione, un sentimento sconfinato che lo porta a trattare quegli animali meglio degli amici e dei commercianti del rione con cui pranza e passa il tempo libero. Lui è soprattutto un uomo mite e gentile con tutti, che vive anche di espedienti ai limiti e oltre la legalità, e non perché sia un delinquente, è solo perché altrimenti non ce la farebbe a tirare avanti (quanti clienti può avere lui con questo strano mestiere in quel grigio quartiere?). L’ambiente non gli è ostile, anzi i suoi modi di persona disponibile lo rendono simpatico a tutti, ma Marcello commette continuamente un errore banale e grave, anche perché in verità, se guardiamo bene a fondo, amici veri, ma proprio veri e fidati, lui non ne ha. Simone, un omone suonato e violento, in un modo o nell’altro lo maltratta ma ricorre sempre a lui, egoisticamente: il suo sbaglio è dare retta proprio a questo Simone, anche per paura e sottomissione, quindi al più violento e sbandato che vive nel quartiere e che inevitabilmente lo induce - e spesso lo obbliga - a comportamenti estremi e per nulla onesti.
Matteo Garrone scava nella sua timorosa vita, lo inquadra costantemente in primo piano per tutti i 142’, ce ne mostra le diverse emozioni che gli passano in testa. Dura è la vita e per Marcello lo può essere ancora di più, soprattutto quando per i suoi errori lo abbandonano anche gli altri negozianti amici, certamente più raccomandabili del violento Simone. In questa atmosfera grigia, plumbea, tra un temporale e l’altro, mai un raggio di sole che possa scaldare gli animi aridi e le strade fangose, il regista non sbaglia nulla. In primis la scelta giusta la fa con il cast, un gruppo di personaggi a cui mal si adatta questo termine, perché più che “personaggi” sembrano “persone” vere, realisticamente immaginabili e ben rese, e quindi (de)scritte e fotografate con (neo)realismo. Sono facce attendibili, fuori dal tempo, dalle espressioni e dalle movenze di gente di periferia che si possono inserire in fatti di cronaca nera di 30 anni fa come di oggi. Il cast è certamente un punto di forza del film, a cominciare senza ombra di dubbio dal piccolo e sgraziato Marcello, il cui perenne sorriso dentato non si capisce se sia un modo di guardare e accettare questa vita scomoda oppure una smorfia per mascherare il disagio interiore.
La sequenza finale in cui il minuto canaro trasporta in spalla l’esanime corpo enorme dell’ex pugile come un gigantesco cane da guardia che lui non è riuscito a salvare (e che invece lui ha voluto condannare per il proprio riscatto) è l’emblema della sua rivincita, è il trofeo che lui vuol mostrare ai suoi amici di calcetto, è la prova che volendo anche lui avrebbe sempre potuto difendersi, che lui non era poi così debole o una vittima sacrificale. Anche a costo di pagarne il prezzo. È il simbolo del film, è il riassunto di una vita.
Marcello Fonte, qui al suo sesto impegno come attore (e non dimentichiamo che ha avuto anche un’occasione da regista in Asino vola), è veramente un volto che viene da quel campionario che amava scegliere Pasolini e sarebbe stato bene anche nei film in bianco e nero del grande Pier Paolo: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Matteo Garrone gli hanno cucito addosso un personaggio su misura, incredibilmente su misura e lui lo recita con una naturalezza che meraviglia, con quella faccia bislacca, storta, piccolo e sgraziato. Chissà cosa hanno pensato a Cannes di lui, fino a premiarlo. Un vero attore “naturale”, senza finzioni, in contrapposizione ad un irriconoscibile Edoardo Pesce che si fa fatica a riconoscere, bravo anche lui, ormai specializzato in ruoli da cattivo.
Ottimo film, in cui Garrone ha l’accortezza intelligente di non mostrare mai in toto la violenza, piuttosto puntando lo sguardo sull’ambiente degradato e sulla vita di estrema borgata, sui suoi abitanti, i loro caratteri e la loro psicologia. Tutto perfettamente illustrato.
Eccellente e appropriata la sceneggiatura, che è accompagnata da una fotografia eccezionale, tipica di tutti i film del regista romano. Giudizio certamente positivo per un film fuori dai soliti schemi del cinema italiano, normalmente asfittico di opere di buona fattura e di caratura internazionale.
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Riflessioni a margine del film.
Se vogliamo dare uno sguardo sociologico al contenuto, in questa trama molto liberamente tratta dalle tragiche vicende avvenute nel 1988 nel quartiere della Magliana tra Pietro De Negri e Giancarlo Ricci, possiamo leggere riferimenti alle vicende sociali dei nostri giorni? Possiamo paragonare il personaggio di Marcellino al cittadino comune, alla persona qualunque che vive con disagio questi anni di crisi economica e di valori e che, pur se malvolentieri, si adatta ai tempi e cerca di sopravvivere accettando il compromesso con il malaffare? Può essere anche il nostro vicino o un nostro conoscente il Marcello del quartiere in cui viviamo? E quindi è un invito quello di Matteo Garrone a ribellarsi alle imposizioni della criminalità che ci circonda e a fare pulizia dentro e fuori di noi? Forse non è proprio nulla di tutto ciò, ma di certo noi siamo come i cani della toiletteria del film che, impotenti, assistiamo chiusi nelle gabbie alle vicende che accadono vicino e intorno: violenza, soprusi, illegalità. E soprattutto la caduta di quei Valori che ci avevano insegnato i nostri genitori e nonni, principi morali che tenevano unito lo Stato Sociale e che oggi si vanno affievolendo.
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