Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Ottimo film, ma mancano la poesia e la visionarietà che rendevano unico lo stile di Garrone.
Premesso che lo considero un ottimo film, devo ammettere di aver passato tutta la prima metà a cercare di capire che cosa non mi stesse convincendo del tutto, e tutta la seconda metà a rispondermi e a veder confermate le mie perplessità iniziali. Fin dall'inizio ho avuto l'impressione che qui mancasse qualcosa che nei film precedenti di Garrone era presente, e credo che questo qualcosa possa essere chiamato, in una parola, la poesia.
Ho sempre pensato che Garrone non fosse un regista realista, ma un autore capace, grazie ad una sensibilità fuori dal comune, di far parlare le cose, di tirar fuori l' "anima" delle persone e dei luoghi semplicemente puntando loro addosso la macchina da presa, quasi fosse la bacchetta di un rabdomante. E per ottenere questo era necessario che la messinscena fosse pressochè annullata, che la recitazione fosse prossima allo zero, insomma che tutti gli elementi della finzionalità fossero quasi del tutto eliminati, affinché potessero parlare direttamente i corpi, le voci, le inflessioni dialettali, i tratti del viso, i luoghi, e affinché da questi, Garrone riuscisse a far sprigionare qualcosa di corrotto, morboso, malsano. Ciò faceva sì che la narrazione passasse quasi in secondo piano, e che il film fosse fatto più che altro di sensazioni, di umori, di una serie di elementi che trascendessero la storia raccontata.
In "Dogman" non è così. Qui la storia sembra avere la prevalenza su tutto, andando a discapito di quella naturalezza che, nei lavori precedenti, veniva fuori da ogni scena e scandiva il ritmo del film; i personaggi sono delineati in maniera molto netta (c'è Marcello il "buono" e Simone il "cattivo"), e il conflitto fra i due è reso fin dall'inizio talmente evidente da rendere quasi prevedibile e annunciato il precipitare degli eventi nella tragedia finale.
Alla fine, dunque, senza la "poesia della morbosità" di Garrone, senza quel realismo magico quasi impercettibile ma presente nei film precedenti (perfino in "Gomorra"), cosa rimane? Rimane una storia di miseria e degrado, la storia di un uomo buono costretto dalle circostanze a diventare cattivo, insomma una tragedia raccontata con uno stile potente e coinvolgente, senz'altro. Ma una storia che, forse, avrebbe potuto raccontare qualunque altro bravo regista che non fosse l'autore de "L'imbalsamatore".
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