Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Mi permetto un ossimoro per sintetizzare il senso di quest'opera: neorealismo metafisico. Il contesto è il degrado materiale ed umano di una squallida periferia romana, descritto in modo quasi documentaristico, ma nella narrazione diviene uno sfondo teatrale che definisce i contorni di uno spazio astratto, lo spazio dell'anima. Un'anima vilipesa, umiliata, negata e rinnegata, vissuta come inutile e resa trasparente da un sistema incentrato sullo sfruttamento selvaggio dei corpi. Gli unici 'altri' con cui il protagonista riesce ad instaurare rapporti sinceramente affettivi sono la figlia ed i suoi adorati cani. Anche il feroce mastino bianco dell'esordio alla fine riconosce l'amichevolezza spontanea di chi lo accudisce, alla fine riesce a 'vederlo'. La socialità benevola che inizialmente sembra circondare il 'canaro' si rivelerà effimera non appena sarà lui ad avere bisogno di comprensione ed aiuto. In qualche modo ciò che di buono gli altri sembrano mostrare non è altro che un riflesso meccanico del suo stesso generoso e leale candore. In verità, per il mondo semplicemente non esiste. L'ex pugile, nella sua ferinità abominevole, rappresenta il vero volto di ciò che lo circonda, interessato solo al suo cinico sfruttamento come risorsa materiale da spolpare fino alle ossa. Rivelatrice è la scena finale dove il protagonista, gravato da un omicidio che nasce da un estremo quanto inutile tentativo di esigere il riconoscimento della propria umanità, vede la dimensione metafisica del reale, lo spazio che dovrebbe essere dimora delle coscienze: un silenzioso e squallido deserto dove l'interiorità dell'uomo non sopravvive nemmeno come fantasma. Nella dimensione fisica dei corpi, invece, immagino la popolazione del quartiere stringersi minacciosa intorno a lui, pronta a spregiarlo come assassino di quell'uomo che, odiato da tutti, molti avrebbero volentieri ucciso se non impediti dalla codardia.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta