Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
13° FESTA DEL CINEMA DI ROMA - SELEZIONE UFFICIALE
Nell'agosto del 2000, un gigantesco sottomarino nucleare, orgoglio dell'armata militare russa, viene impegnato in una complessa esercitazione volta a testarne le potenzialità. Qualcosa tuttavia va storto ed una esplosione inabissa il gigantesco veicolo marino, uccidendo gran parte dell'equipaggio, e lasciando in balia degli eventi 18 marinari sopravvissuti, intenti a cercare di sopravvivere al freddo degli abissi, alla mancanza di cibo, e al ritardo di soccorsi che tardano a mettere in opera ogni tentativo di salvataggio. Da quella trappola senza scampo, seguiamo le vicissitudini di un ufficiale intento a cercare di portare in salvo i sopravvissuti.
Dalla superficie invece, seguiamo l'odiosa, arrogante burocrazia dell'armata russa che, orgogliosa e in malafede, si rifiuta di farsi soccorrere dalla flotta inglese, dotata di congegni in grado di agevolare le operazioni di salvataggio, e soprattutto la tenacia dei parenti delle vittime, impegnati a far valere la loro protesta contro un atteggiamento ostile e di chiusura che l'armata russa si ostina a mantenere nei confronti delle pur complesse operazioni di salvataggio.
Per la prima volta impegnato con un vero e proprio Blockbuster, troviamo al centro dell'impresa lo stimato e noto regista danese Thomas Vinterberg, primo regista in assoluto ad utilizzare le regole di Dogma 95 per il suo film d0esordio, e suo autentico capolavoro - Festen - prima di darsi all'avventura americana dagli esiti contrastati e non proprio felicissimi.
Kursk, tratto dalla vera tragedia occorsa ad un sommergibile russo rimasto vittima di un incidente rimasto alla mente proprio per il fatto che quale nessun membro dell'equipaggio riuscì a sopravvivere, si comporta alla maniera hollywoodiana, pur restando una coproduzione tra Belgio e Lussemburgo: immagini sontuose, interpreti celebri, sapiente dosaggio di azione e tensione emotiva in modo da accattivarsi i favori del pubblico.
Risultato: modesto per un film girato in un inopportuno inglese internazionalizzante, aggravato dalla circostanza di sentir intonare, da parte dei marinari RUSSI, un incongruo "The sailor man" insulsamente e fuorviatamente patriottico. Vedere poi attori come la francese Léa Seydoux recitare in inglese per interpretare una giovane moglie russa, o Colin Firth recitare svogliato e senza verve come sa spesso fare il celebre ed altrove bravo attore quando non è convinto, o notare improbabilmente impegnato nel ruolo di un ammiraglio russo l'ormai quasi novantenne Max Von Sydow, infastidisce parecchio, rendendoci quasi insopportabile digerire i pur drammatici esiti di una vicenda che la realtà ci ha raccontato nella sua più tragica e cruda realtà dei fatti.
Per non parlare del patetismo che inzuppa senza alcuna efficacia strumentale o scenica le storie inerenti ai parenti dei poveri soldati coinvolti nell'incidente: scene madri lacrimevoli e stucchevoli che sanno di bieco ammiccamernto col pubblico a scopo ritorsivo.
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