Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Che i russi si siano storti alla notizia di un film europeo che li fa passare per tordi quasi completi, non può stupire. E che la storia del Kursk, sottomarino nucleare, affondato nel mar di Barens nel 2000, con motivazioni ancora oggi non tutto acclarate, possa suscitare clamore e interesse, appare giustificato,
Ciò che trovo eccessivo è che la pellicola scelga di far regredire politica, esercito, armamenti e burocrazia russa, quasi ai tempi della guerra fredda, con una Russia sprovveduta e casareccia, con la fifa matta di essere spiata e l’incapacità cronica e fisiologica di risolvere ogni contrattempo.
Ma del resto è una scelta che guarda alla curiosità da far suscitare in pubblico e addetti ai lavori. E visto il clamore, è una scelta che ha pagato.
Il film è un dramma claustrofobico visto dalla parte dei sopravvissuti, purtroppo solo temporaneamente, del sottomarino dopo le esplosioni che ne causarono l’adagiamento sul fondo.
C’è anche la supervisione “teatrale” di Luc Besson nella scelta di scene clou e degli attori (anche se Colin Firth, nei panni di un ammiraglio inglese che offre il proprio aiuto alla causa, appare freddino e relegato nel suo compitino).
E c’è spazio per spericolate acrobazie in apnea da parte dei protagonisti e scontati déjà vu; interessanti i punti di vista dei familiari che attendono, e pretendono giustamente, da una burocrazia riottosa ed indisponente, notizie sui propri cari, anche se assurgono ad un siparietto finale romanzato e melodrammatico oltre il necessario.
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