Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
E' proprio vero che il mondo si divide in due categorie. Quelli che creano problemi e quelli che li risolvono. Purtroppo a volte i due mondi non dialogano. Il film analizza questa incapacità di comprensione e visione duale tra la burocrazia stupida e bieca della politica, in questo caso russa, ma diremmo globale in quanto a guerre e militarizzazion
Qualche dato.
K141 KURSK, nome
150, i metri di lunghezza, equiparabili a due jumbo jets, più di due campi da calcio
1990, anno di costruzione, considerato orgoglio della marina russa
59, i km orari di velocità subacquea e 30 i km orari in superficie
300-500, i metri di immersione testati
12 agosto 2000, giorno di affondamento
118, il numero dei morti
71, i bambini rimasti senza padre durante un’esercitazione navale con altre 30 navi e altri 2 sottomarini
2, le esplosioni interne, così forti da essere registrate dai sismografi dell'Alaska.
almeno 23 dei 118 marinai a bordo sopravvissero alle esplosioni rimanendo nei successivi 9 giorni.
E' proprio vero che il mondo si divide in due categorie. Quelli che creano problemi e quelli che li risolvono. Purtroppo a volte i due mondi non dialogano.
Traendo spunto da A Time to Die: The untold Story of the Kursk Tragedy, libro scritto dal giornalista Robert Moore, con qualche libertà narrativa, il film, una produzione di Ariel Zeïtoun, franco-belga in lingua inglese, analizza questa incapacità di comprensione e visione duale tra la burocrazia stupida e bieca della politica, in questo caso russa, ma diremmo globale riguardo a guerre o militarizzazione e la disponibilità, il coraggio a morire di marinai semplici, uomini valenti e saggi.
Un terzo ambito d’indagine sulla tragedia che vide sparire il sottomarino nuclearizzato è quello dei famigliari. Un punto di vista diverso, da terra, vede le mogli tenaci e innamorate, costrette a fronteggiare disperatamente gli ostacoli politici e burocratici, tentando l'impossibile per salvare i propri cari, opponendosi ai burocrati della marina e al portavoce di Putin, in quel momento in vacanza proprio nel mare del Nord, vicino a quello di Barents luogo della tragedia.
Con una co-produzione franco belga e l'intervento di Luc Besson, le ottime musiche di Alexandre Desplat, la tosta fotografia di Anthony Dod Mantle, il bravissimo Matthias Schoenaerts nel ruolo di Mikhail Averin, le apocalittiche scenografie di Thierry Flamand, con scene claustrofobiche, angoscianti che lasciano senza respiro, come i poveri marinai in acqua, il film si colloca nel filone di tragedie sui sottomarini che rimangono indimenticabili da Destination Tokyo a Allarme Rosso e Caccia a Ottobre Rosso, da Black Sea a K-19 dove Kathryn Bigelow e Harrison Ford rimettono in scena i disastri dell’esercito sovietico senza un nemico preciso, ma nella lotta per la sopravvivenza da parte dell'equipaggio, come fa anche K141.
Si perdoni qualche ingenuità, francamente anche poco comprensibile, come il fatto che tutti i protagonisti parlino in inglese e non in russo, o le pompose scene a volte un po’ troppo cariche di hollywood e melodramma.
Di sicuro il film attrarrà l'interesse di molti oltre al mio, per la sua costruzione impeccabile e il thriller da cardiopalma che lo codifica.
Stiano però a casa i claustrofobici!
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