Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Festa del cinema di Roma - Selezione ufficiale.
L'impegno civile va preservato, come fosse una razza in via di estinzione, per aiutare la memoria a non dimenticare quelle pagine che hanno segnato le coscienze e che negli anni rimangono addosso quasi esclusivamente ai diretti interessati. Conseguentemente, può servire come suggerimento a non ricadere nelle stesse manchevolezze, un monito riportato alla pubblica attenzione.
Kursk rievoca un incidente che, a suo tempo, coinvolse il mondo intero, in apprensione per le sorti di un gruppo di uomini intrappolati in fondo al mare, cercando di mediare tra la denuncia dei fatti e una resa in grado di coinvolgere - e sconvolgere - emotivamente il pubblico.
Durante un'esercitazione militare di routine, il sottomarino nucleare Kursk K-141 è affondato da due violente esplosioni interne, finendo sul fondo delle acque del mare di Barents.
Dei 118 membri dell'equipaggio, sopravvivono allo schianto solo ventitré uomini, tra cui il capitano Mikhail Averin (Matthias Schoenaerts), privati di ogni canale di comunicazione con l'esterno e aggrappati esilmente alla vita, in attesa di essere soccorsi.
Nel frattempo, le operazioni russe di recupero subiscono una serie di contrattempi, mentre dall'estero giunge un'offerta di aiuto dal commodoro britannico David Russell (Colin Firth), che si scontra con le reticenze degli apparati burocratici russi, la cui principale preoccupazione non riguarda il salvataggio dei suoi uomini.
Tratto dal romanzo A time to die scritto da Robert Moore e adattato da Robert Rodat (Salvate il soldato Ryan, Il patriota), Kursk è un'imponente coproduzione europea sotto l'egida di Luc Besson e la sua Europa Corp.
Da questa informazione, è chiaro come si tratti di un'operazione che, mantenendo il massimo rispetto per chi perse la vita nella tragedia e chi affrontò il lutto, ricerca una formula equilibrata nelle urgenze, che sappia calamitare attenzione e umori, contando sull'effetto claustrofobico di quella scatola di sardine che è un sottomarino, un fattore che al cinema è ricorrente (vedi K-19 e Black sea, che presentano assonanze con questo titolo).
Così, lo svolgimento oscilla continuativamente tra quanto accade all'interno del sottomarino, con le approssimazioni del caso e il proliferare della tensione, e ciò che avviene all'esterno, ricostruendo i fatti di ore concitate e contraddittorie.
Un prospetto che scatena la rabbia per come la vita umana viene relegata in coda, tragedie evitabili con un minimo di buon senso e premura, con pochi uomini disposti a tutto, costretti a provare l'impossibile con mezzi largamente insufficienti.
Pertanto, le emozioni si sormontano, tra lampi di gioia e una tempesta di patimenti, paura e speranza, rassegnazione e voglia di lottare, con Matthias Schoenaerts e Léa Seydoux, rispettivamente lontani dagli habitat prediletti di noir (Bullhead - La vincente ascesa di Jacky, Close enemies) e scandalo (La vita di Adele, The lobster), a veicolare l'espressione dei sopracitati stati d'animo.
Alla fine, la sommatoria degli addendi dà il risultato più ovvio, didascalico con furbizia, tanto più considerando l'approssimazione linguistica (tutti i personaggi parlano in inglese), un'esperienza che sposta Thomas Vinterberg più che mai lontano dal cinema rigoroso che lo lanciò (il seminale Festen - Festa in famiglia), su un itinerario internazionale che aveva già assaggiato (Via dalla pazza folla) .
Avvincente e calcolato, un mix affidabile e programmatico.
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