Regia di Valeria Golino vedi scheda film
Epifania/rivelazione: sconcerto/rifiuto, rabbia, patteggiamento, tristezza/depressione, accettaz… Euforia.
"Euforia" è un film - profondamente e radica-l/ta-mente borghese, e per questo, anche, universale - normale (n-morale: non/multi-morale), molto bello, concreto (semplice e complesso, ma non semplicistico né complicato) e reale. Mi è stato impossibile (è un mero esercizio retorico che in ambito critico lascia il tempo e lo spazio così come li trova, immutati) non riandare con la mente a pescare, nella memoria affiorante, un altro film, molto distante tanto per stile quanto, e soprattutto, per contenuto, “le Parole di Mio Padre” (da “la Coscienza di Zeno” di Italo Svevo) di Francesca Comencini (2001). Se non per forma né per sostanza, forse, ecco, è il tono, lo sguardo, l'attitudine alla vita: da questo punto di vista sono due opere gemelle.
È un film pensato, scritto (da Valeria Golino - alla sua opera seconda da regista nel lungometraggio dopo “Miele” e il corto “Armandino e il MADRE”- con Francesca Marciano e Valia Santella e la collaborazione di Walter Siti), disegnato, provato, messo in scena, girato, recitato [i due fratelli: Riccardo Scamarcio (Matteo), in perenne equilibrio tra surplace, istinto e maniera, funziona (ed è la di lui condizione quotidiana ed esistenziale ad essere la titolante costante euforica del film), e Valerio Mastandrea (Ettore), che sforna una delle sue migliori performance: certi piccoli gesti, sguardi, accenni, movimenti, espressioni sono preziosissimi; molto brave Marzia Ubaldi (la madre dei due fratelli) e Isabella Ferrari (la ex di Ettore e madre del loro figlio); cammei “sacrificati” ma non accessori di Valentina Cervi (brevi comparse sulla lunga distanza), Iaia Forte (una posa) e Jasmine Trinca: pochi minuti, concentrati prima della fine, densi e ottimamente abitati], fotografato (Gergely Pohárnok: “Taxidermia”, “una Vita Tranquilla”, “Miele”), montato (Giogiò Franchini: da vent'anni, di tutto e di più: oltre a “Miele”: i primi lavori di Paolo Sorrentino, e poi: Roberta Torre, Antonio Capuano, Antonietta De Lillo, Sergio Rubini, Nina Di Majo, Andrea Molaioli, Maccio Capatonda, e: “Aitanic”, “Texas”, “Tre Donne Morali”, “Bianciardi!”, “Ossidiana”, “Lezione 21”, “il Seme della Discordia”, “la Pecora Nera”, “Breve Storia di Lunghi Tradimenti”, “Per Amor Vostro”) e musicato (Nicola Tescari: “Texas”, “lo Spazio Bianco”, “Cavalli”) con attenzione, inventiva, classicità, precisione, idee e sincerità (contiene anche, tra le altre, una brevissima scena (per natura e per fattura) bandeàpartesca - dal Louvre, rive droite, primo arrondissement, a Ostia Lido: dal nulla osta di André Malraux a quello del parentado Spada/Casamonica -, da cui è stato estrapolato un fotogramma ch'è diventato locandina: pochi secondi, qualche decina di metri di corsa per strada: una sequenza sbilenca, non un “omaggio”, e nemmeno una reminiscenza (in)consapevole e/o automatica, non è niente, nulla, un attimo appena, ma è un momento bellissimo.
Un passo avanti, un passo di lato, un passo sul posto rispetto a “Miele”? Un passo che usufruisce dell'abbrivio di “Miele”. Un passo diverso, un'evoluzione, in parte. Con Francesca Comencini, Antonietta De Lillo, Alice Rohrwacher, Laura Bispuri, Alina Marazzi, Silvana Maja (morta un mese fa a soli 55 anni), Rä di Martino e un'altra ventina di nomi (compresi i “soliti”, quelli più - Archibugi e Labate - e meno - Argento e Nicchiarelli - consolidati), uno degli sguardi femminili più interessanti del panorama cinematografico italiano contemporaneo. Perché solo italiano? E aggiungiamoci, come auspicio, Claire Denis. Perché solo femminile? E aggiungiamoci Paolo Franchi.
Le fini, in quanto tali, non sono, mai, liete. Poi, per quanto riguarda i “lieto fine”, tutto dipende, come diceva quello, da quando si decide di chiudere la storia. Che qui s'interrompe - trasportata sin lì con la coadiuvazione di parchi effetti speciali ad opera di Chromatica ottimamente inseriti e utilizzati - cum interim.
“Sparrows [Starlings (non malickiani); NdR] above Rome were the color of black and white television, tuned to a dead channel.” - William Gibson (autocitazione parafrasante “Neuromancer”), 19/02/'19
* * * ¾ - 7 ½
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