Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Nella parlata comune, si è soliti associare il termine “surreale” al classico sogno ad ogni aperti, legando quindi la dimensione onirica alla vita di tutti i giorni. Applicato alle cose dell’arte, il Surrealismo si propose come scopo temerario quello di affrancare l’analisi del reale dal dominio incontrastato della ragione. Detto altrimenti, venne dato all’inconscio un ruolo fondamentale nell’opera di interpretazione della realtà.
Al Cinema, il Surrelismo entra dalla porta principale con “Un chien andalou” firmato dalla coppia Luis Bunuel-Salvador Dalì, e si impone con forza con una lama di rasoio che lacera l’occhio impassibile di una ragazza, uno squarcio provocatorio che è come se volesse invitare lo spettatore ad iniziare guardare con occhi diversi il mondo che lo circonda. Una sequenza fondamentale che tende a mettere in relazione ciò che vediamo e il come lo vediamo, la realtà che ci circonda e il modo in cui, questa realtà, è filtrata dal nostro inconscio.
Il Surrealismo fa dunque il suo ingresso al Cinema portando quella quota di sogno che rimane vivo e concreto anche quando si è svegli. Grazie alla coppia Bunuel-Dalì, il Cinema degli albori si apre ad un’altra forma di linguaggio cercando di rivoluzionarne lo sguardo, attraverso uno stile espressivo che porta a postulare che tutto è reale affinché plausibile, che tutto è rappresentabile perché vedibile.
Dopo “Un chien andalou”, arriva quello che è considerato il primo lungometraggio di Luis Bunuel (sempre in collaborazione con Salvador Dalì), “L’age d’or”, ancora più dissacratorio ed “iconoclasta" del precedente, al punto che scatenò le forti contestazioni della destra reazionaria.
Il film fa perno sulla cerimonia di gala organizzata in una lussuosa villa parigina e, soprattutto, sul tentativo di un diplomatico (Gaston Modot) che tenta in ogni modo di accoppiarsi con la figlia dei padroni di casa (Lya Lys). Provocando scandalo e le scomposte reazioni da parte degl’illustri e ben pensanti invitati. Ma la trama è solo un pretesto per scatenarsi attraverso l’estetica surrealista contro l’ipocrisia borghese, per accentuare la carica visionaria di un Cinema concepito per dirigere attacchi frontali contro il potere costituito. La dimensione spazio temporale è volutamente decostruita di senso, si passa da un luogo all’altro e in periodi e situazioni differenti con la disinvoltura tipica di una forma di linguaggio che sa farsi grammatica. Per un caleidoscopio di immagini che non chiedono di essere capite in virtù della loro logica linearità, ma che vogliono imprimersi in ragione di una stupefacente (e rinnovata) carica espressiva.
“L’age d’or” inizia con una specie di documentario sugli scorpioni, poi si è proiettati in un paesaggio montuoso circondato dal mare dove si susseguono immagini che ritraggono Vescovi che sembrano dei cadaveri imbalsamati, scheletri con la tiara, pastori che osservano delle navi attraccare nella baia, una specie di processione solenne, l’amore "peccaminoso" punito da una folla inferocita. Poi si cambia scenario e vediamo intersecarsi intorno alle vicende della villa parigina, la città che prende vita, mucche in camera da letto, giraffe che cadono dalle finestre, la rappresentazione di Gesù Cristo che esce da un castello (dalle 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade). Insomma, si entra in un territorio dell’assurdo dove la poetica surrealista dirige lo sguardo portandolo, prima che a chiedersi cosa si sta guardando, a domandarsi come occorre guardare. Perché, prima di concentrarsi sulla pura descrittività delle immagini rappresentate, bisogna tener conto della componente onirica che intendono esprimere, della relazione che esiste tra la realtà deformata dal sogno e l’inconscio che vuole materializzarsi in essa.
Ne “L’age d’or” è presente una forte carica erotica, prova ne sono il modo spudorato con cui l’uomo cerca di possedere la ragazza e come questa succhia voluttuosamente il dito del piede di una statua. Aspetto che porta ad accentuare la critica al perbenismo borghese, al mero formalismo delle sue regole corporative. I canoni (etici ed estetici) su cui si regge tutta la sua impalcatura morale vengono sottoposti a delle turbolenze continue, annichiliti al cospetto di un’arte che la sfida senza timori di sorta. Si offre alla mente una diversa prospettiva da cui pensare alle cose, un altro immaginario con cui guardare il mondo. La società borghese ne esce tramortita, e con essa la Chiesa, desacralizzata di tutta la sua essenza originaria (come dimostra emblematicamente tutta la sequenza finale), non tanto perché se ne vuole offendere gratuitamente lo spirito cristiano, ma per mostrare tutta la fallacità dei suoi inutili orpelli esteriori. Con “l’ateo per grazia di Dio” Luis Bunuel e sempre così, sin dai suoi esordi surrealisti in coppia con il grande Salvador Dalì : bisogna rappresentare le verità che emergono dall’inconscio per smascherare le menzogne partorite in serie dal potere costituito. Per un Cinema che già nasce grande.
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