Regia di Peter Bogdanovich vedi scheda film
Comincia con una gag che rimanda alla memoria i classici muti di Buster Keaton e prosegue con un omaggio a Charlie Chaplin. E, tra ricordi del cinema avventuroso e western degli albori, chiude con una dedica ad Allan Dwan e a Raoul Walsh. Peter Bogdanovich è da sempre un nostalgico rievocatore del periodo della Hollywood degli anni d’oro. In Vecchia America (Nickelodeon, 1976) torna indietro nel tempo raccontando il periodo storico susseguente alla genesi del cinema, ovvero i primi anni del Novecento, quando si realizzavano i cosiddetti “nickelodeon”, ovvero delle pellicole brevi, il più delle volte assemblate confusamente tra di loro, che si potevano guardare pagando 5 centesimi (nickel). La storia ha per protagonista un gruppo scalcinato di improvvisati cineasti, che comprende: un ex avvocato disoccupato (Ryan O’Neal) assunto prima come sceneggiatore e poi come regista dal vulcanico proprietario (Brian Keith) di uno studio cinematografico; un ex sicario diventato attore (Burt Reynolds), una bambina (Tatum O’Neal, che torna a recitare con il padre Ryan e con il regista dopo Paper Moon) che svolge le funzioni più disparate, da attrezzista ad autista; una giovane fotomodella (Jane Hitchcock) ambìta sia dal regista sia dalla star, un operatore (John Ritter) e la sua assistente (Stella Stevens).
Bogdanovich racconta un tipo di cinema che non esiste più e del quale si conosce poco, perché prototipo di quello che nascerà in seguito con l’avvento del lungometraggio. Un lavoro spesso ingarbugliato e confusionario, nel quale i registi (interscambiabili e facilmente licenziabili tra di loro) dirigevano velocemente e distrattamente passando da un set all’altro: “Vabbè ma qui si lavora a catena, come si può pretendere che capiamo quello che facciamo?” rimbrotta l’improvvisato director che reclama una propria autonomia artistica. E non risparmia qualche frecciata proprio al mestiere del regista (“Io sono il regista del film” - “Io non l’ho mai vista signore, ha interpretato anche lei dei film?” - “No, io non li interpreto. Li faccio” - “Ah, lui li fa soltanto!”). Poi improvvisamente i nickelodeon spariscono, surclassati da un nuovo modo di fare cinema. L’imponenza produttiva di David Wark Griffith e del suo Nascita di una nazione (1915) cambia le coordinate della storia del cinema, richiedendo maggiori sforzi ed una durata delle pellicole raddoppiata se non triplicata. Memorabile è la sequenza dei nostri eroi che assistono alla “prima” proprio del film di Griffith, alzandosi in piedi ed applaudendo entusiasti al nuovo “messia” del cinema.
Vecchia America è un film troppo nostalgico e malinconico, affidato a gag comiche troppo lontane dai gusti dello spettatore moderno. Per questo fu un clamoroso insuccesso che pregiudicò la carriera di Bogdanovich. Ma, nonostante i difetti palesi, si respira un'aria genuina di romantica ingenuità. Bogdanovich tratteggia con affetto ed ironia i suoi personaggi, in particolare la tirannia dei produttori, affidando ad uno straordinario Brian Keith le battute conclusive e sognanti: “Pensate: milioni di persone che vanno a vedere i film. Molti non conoscono l’americano. Ma chi se ne frega! Perché i film sono una lingua che tutti capiscono. Come la musica. E se sei bravo, se sei davvero bravo, allora può darsi che quel che fai possa dar loro un pochino di gioia. E una felicità che non dimenticheranno".
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Bravo Rocco vedo che gli anni settanta sono il tuo periodo cinematografico preferito. Io di Bogdanovich ho visto L'ultimo spettacolo che merita la sua fama di classico, ma per il resto ho seguito poco la sua carriera e non ho visto ne' Vecchia America ne' Paper moon, ma come ci hai indicato sono film da riscoprire, considerata la bravura e anche il livello di cinefilia del regista che lo avvicina per certi versi a Truffaut
Grazie Stefano, si hai ragione: gli anni 70 restano i miei preferiti, non solo cinematograficamente... è in quel periodo che si formarono alcuni dei maggiori autori contemporanei, perchè c'era maggiore libertà creativa. Se puoi, prova a recuperare qualche film di Bogdanovich ne vale la pena... Ciao a presto!
Sai che mi sto interessando a Bogdanovich, anchi'o anche se si trova poco. Ciò che hai scritto, al solito, è vivo e attraente,e mi ha pure commossa...Il film non sono ancora a vederlo.
Lo so Anna Maria, stiamo procedendo di pari passo con Bogdanovich. Alcuni film mi mancavano nella sua filmografia, e li sto recuperando. Il prossimo è "Saint Jack" con Ben Gazzara, un'altra grande sorpresa per me. Ciao!
Certo che leggendo le tue opinioni ci si incuriosisce, hai un talento speciale per certi filoni di "modernariato cinematografico" :-))). Bravo Rocco, un saluto, Paolo.
Grazie Paolo, mi piace l'aggettivo "modernariato cinematografico"... I classici occupano sempre un posto di rilievo per me... Ciao alla prossima!
Commenta