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Chi ucciderà Charley Varrick?

Regia di Don Siegel vedi scheda film

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La recensione su Chi ucciderà Charley Varrick?

di (spopola) 1726792
8 stelle

Esemplare nella costruzione ed esaltato dalla dinamicità del montaggio, è un ottimo film d’azione che alterna sapientemente piccole pause rilassanti a momenti più frenetici continuamente vivificato da invenzioni di acuta intelligenza che si conferma come uno dei migliori thriller di tutti i tempi e ribadisce in toto la meritata fama del regista.

Se mai ce ne fosse stato bisogno, possiamo dire che Chi ucciderà Charlie Warrick? è la “prova provata” della grandezza di Don Siegel, del suo essere stato un indiscusso maestro (nome di culto e di riferimento) del cinema poliziesco e d’azione statunitense al quale lo stesso Eastwood deve davvero molto. Indubbiamente quello è il settore preponderante, poiché è proprio lì che si trovano molti dei suoi indiscussi capolavori spesso corroborati da inquietanti venature “noir” (penso soprattutto a Contratto per uccidere, efficacissimo remake de I Gangster di Robert Siodmak da Hemingway) anche se non solo in quello si è distinto, visto che la sua carriera si è sviluppata con altrettanta efficacia in molte direzioni.

Se si analizza nel dettaglio la sua filmografia, si trovano infatti eccellenti opere “trasversali” che percorrono altre strade narrative e differenti “generi” spesso da lui “ricodificati” dall’interno, a partire dalla fantascienza (L’invasione degli ultracorpi, per esempio, più volte “rifatto” ma mai eguagliato) e dal filone carcerario (Rivolta al blocco 11 e soprattutto Fuga da Alcatraz). Non va dimenticata inoltre la sua anomala incursione nel gotico con la fiammeggiante versione “horror” (io la definirei proprio così per l’angoscia da cardiopalma che crea) ispirata al romanzo di Thomas Cullinan riletto e “ristrutturato” dalla sceneggiatura di Grimes Grice (Albert Maltz) de La notte brava del soldato Jonhatan, o il labirintico giallo spionistico Il caso Drabble (che rimanda a Hitchcock e al Sam Peckinpah di Killer Elite, e dove, come giustamente scrive il Morandini, focalizza i suoi interessi soprattutto sui dettagli, sull’ambiente, sul comportamento dei personaggi e riesce cosi a far funzionare il tutto e alla fine anche a far tornare i conti, nonostante l’intricatissima vicenda,lavorando sul galleggiamento alla deriva degli stereotipi del genere), senza sottovalutare nemmeno il suo personale, ottimo contributo dato al western nella prima fase della sua carriera (e poi nella sua più compiuta e complessa fase della maturità, con il troppo poco capito e ancor meno apprezzato Gli avvoltoi hanno fame e con l’autunnale, funerario Il pistolero) o nel genere bellico (l’antimilitarista L’inferno è per gli eroi).

 

 

Ma torniamo a Chi ucciderà Charley Warrick?, un gangster-movie di assoluto rilievo che Siegel ha costruito da par suo sviluppando la storia con una narrazione strutturata secondo i tradizionali canoni del genere (ma che nel finale, con le sue inconfondibili doti – un misto di sarcastico humor e cinismo - il regista si prende la briga e il lusso di sovvertire inventandosi addirittura un lieto fine).

Esemplare nella costruzione della suspence ed esaltato da un montaggio altamente dinamico (di Frank Morriss) che alterna sapientemente le piccole pause rilassanti a momenti più frenetici e forti (il ritmo incalzante della lunga, bellissima sequenza d’apertura con l’attesa della banda prima della rapina e il successivo inseguimento da parte della polizia ne è un valido esempio insieme all’altrettanto spettacolare, acrobatico finale), è un film continuamente vivificato da trovate e invenzioni di acuta e sottile intelligenza, che si conferma come uno dei migliori thriller di tutti i tempi che ribadisce in toto la meritata fama acquisita dal regista di grande cineasta d’azione. Siegel ha infatti la rara capacità di saper tenere in perfetto equilibrio la concitazione drammatica di certe sequenze con i più distesi e rassicuranti passaggi umoristici che si alternano e si integrano continuamente fra di loro sviluppando il tutto con lucida crudeltà un po’ sorniona che non perde mai di vista l’obiettivo finale da raggiungere.

 

 

Se volessimo essere lapidari, potremmo sintetizzare il racconto dicendo semplicemente che è la storia di un perdente che si riscatta con l’astuzia in un mondo di criminali imbecilli, oppure definirla come il trionfo dell’intelligenza di un anziano, scaltro e saggio “burattinaio” (Roberto Vaccino) del crimine solo contro tutti, ma capace di mettere in scena un accuratissimo e ingegnoso piano di difesa.

Entrando nei particolari, potremmo invece raccontarlo più dettagliatamente come la storia di un piccolo malvivente di poco spessore, ex acrobata dell’aviazione ormai sulla cinquantina, che decide di ripulire una banca del Nuovo Messico. Il colpo riesce bene, tanto che Charley (il nostro protagonista) e il suo socio Harman, portano a casa una quantità molto consistente di denaro. I due si rendono comunque ben presto conto che quelli in loro spossesso sono soldi sporchi appartenenti alla criminalità organizzata, che li aveva stoccati in quella periferica banca per poi riciclarli in Messico.

Alla mafia ovviamente basterà davvero molto poco per risalire agli autori della rapina e mettersi sulle loro tracce, ma dovrà fare i conti non la sorprendente abilità (anche inventiva) di Warrick, abilissimo stratega dotato tanto di arguzia quanto di risorse fantasiose, capace di diventare all’improvviso il protagonista di una beffarda “rappresentazione” che utilizza per afferrare al volo l’ultima chance che gli si presenta, e così riscattare una vita amara costellata di sconfitte.

Un profilo umano moralmente discutibile insomma, ma riferito a un uomo che ben rappresenta la figura del “manipolatore intelligente” spesso messa in scena da Siegel, e che qui raggiunge davvero il diapason della creatività.

Alla fine insomma, a vincere è inaspettatamente proprio quello che sembrava essere il cavallo perdente, o per meglio dire, “l’ultimo degli indipendenti”, come è dichiaratamente esplicitato dal motto che Warrick porta impresso sulla sua tuta, e che condensa e sottolinea magnificamente la sua personale filosofia di vita: anonimo per vocazione ma tutt’altro che rassegnato, mansueto in apparenza , ma all’occorrenza capace di violenze efferate, soprattutto se, più che necessarie, diventano indispensabili per raggiungere l’obiettivo finale e uscirne praticamente indenne.

 

 

La prova di Matthau è come al solito eccezionale: nei panni del piccolo lestofante ormai fuori gioco, ci regala con la sua faccia di lenza (come la definisce Di Giammatteo) un’interpretazione titanica, smagliante, sorniona e commovente, indubbiamente fra le migliori della sua carriera alla quale si contrappone (e gli tiene testa) l’altrettanto eccellente risultato raggiunto da Joe Don Baker nel ruolo del killer Molly, razzista e sadico: il suo confronto a distanza con Matthau è come un filo incandescente che dà tensione e “sapore” a tutta la vicenda.

Per concludere, Chi ucciderà Charley Warrick? si conferma ancora oggi una pellicola straordinaria e tutta da godere: ritmo sempre efficace e adeguatamente teso anche nei momenti più rilassati, ma che diventa esplosivo in più di una sequenza, esemplare tenuta narrativa e tanto realismo anche cruento tratteggiato però con saggia indulgenza e un lavoro compositivo dell’insieme in cui la mano del regista è sempre pienamente percepibile con le sue inquadrature oblique, i colori freddi, il respiro arioso dei paesaggi, le battute fulminanti («Io non dormo con le puttane. Se mi è capitato l'ho saputo dopo») e una critica feroce della società americana espressa attraverso dialoghi che manifestano spesso giudizi spietati e definitivi (a volte persino “irriverenti”) sulle contraddizioni profonde di quel paese.

La sceneggiatura di Howard Rodman e Dean Riesner così “sboccatamente” congeniale, l’impareggiabile fotografia di Michael C. Butler sia nell’on the road selvaggio e luminoso delle scene girate nel New Mexico che nella visione più contrastata e “oscura” di un'America bucolica e provinciale, la colonna sonora dell’eclettico e formidabile Lalo Schifrin che fa da ottimo supporto musicale, sono le ulteriori eccellenti “carte” a disposizione di un Siegel davvero in piena forma e in grande spolvero di idee.

 

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