Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Claire Gregory è una ricca aristocratica newyorkese che durante una delle tante feste private che costellano la sua vita notturna è testimone involontaria di un sanguinoso omicidio per mano del gangster Joey Venza. Per la sua incolumità viene messa sotto tutela dalla polizia, che affida la donna a un gruppo di ispettori, tra i quali Mike Keegan, appena promosso detective. Dopo una iniziale incomunicabilità caratterizzata soprattutto dalla loro diversa estrazione sociale, Mike e Claire cominciano a cementare un rapporto di amicizia che ben presto sfocia in una relazione sentimentale. La passione tra i due, una volta diventata di dominio pubblico, porta alla rottura del legame matrimoniale di Keegan con la moglie Ellie e alla sua sospensione dall'incarico. Nel frattempo Venza, ancora latitante, cerca in tutti i modi di eliminare Claire, l'unica in grado di incriminarlo...
Situato in una fase filmografica delicata, successiva al disgraziato flop di Legend e precedente alla rinascita artistica e commerciale di Black Rain e, soprattutto, Thelma e Louise, Chi protegge il testimone passa per essere uno dei film meno riconosciuti del regista inglese. Una specie di "brutto anatroccolo" incastonato in un percorso cinematografico che, dopo aver assestato i colpi migliori a inizio carriera (I duellanti, Alien, Blade Runner) sonda l'ingresso in una cinematografia di genere di ambientazione contemporanea orientandosi verso un revisionismo concettuale e cinefilo che rientra pienamente nel postmodernismo teorico di molto cinema americano deli anni Ottanta. Rispetto ai primi tre classici da lui diretti e allo stesso fantasy Legend, Chi protegge il testimone si identifica sin dal suo concepimento come operazione più umile in ambito produttivo, maggiormente legata a convenzioni drammaturgiche hollywoodiane e quindi, almeno a una lettura di primo grado, meno autoriali. Il paradosso vuole che proprio il quinto lungometraggio di Scott finisca con l'essere a posteriori una delle sue opere più interessanti e sorpendentemente politiche. Già dalla prima bellissima sequenza il regista gioca a carte scoperte. Le note del brano di George Gershwin, Someone to Watch Over Me, nella versione arrangiata da Sting, riflettono due aspetti prioritari dell'operazione: l'elemento citazionistico-referenziale appunto e quello diegetico, spazio-temporale. Someone to Watch Over Me apre i titoli di testa, interamente dedicati allo skyline della New York ottantesca. Una panoramica aerea da sinistra verso destra immortala il tramonto della Grande Mela, omaggiando immediatamente quella che nel corso del film si rivelerà essre la protagonista occulta della storia: la New York dei ricchi e quella dei poveri. Il Queens di Mike da una parte, la Manhattan di Claire dall'altra. Da questo punto di vista il film può essere visto come punto mediano di un'ipotetica trilogia sulla città, inziata con Blade Runner e parzialmente chiusa con Black Rain. Trilogia all'interno della quale il film di Scott ricopre un ruolo più "intimista"". Rispetto agli altri due titoli, pur riflettendo una messa in scena iperrealista e incentrata sulla consueta rielaborazione estetica scottiana con ampia saturazione di luci e impianto scenografico, Chi protegge il testimone lavora in modo ricorrente sullo spazio chiuso, recuperando, nell'ingegnosità architettonica degli interni e nell'abilità rappresentatuiva di incanalare traiettorie di luce all'interno di essi, parte della claustrofobia metamorfica presente in Alien. La New York del film opera infatti una riconfigurazione degli interni domestici e degli ambienti che si distanzia dalle esplosive escursioni metropolitane che contraddistinguono le peregrinazioni di Rick Deckard (Blade Runner) e Nick Conklin (Black Rain). Emblematica in in tal senso è la sequenza in cui il sicario mandato da Venza per uccidere Claire entra nell'appartamento della donna. Il killer riesce a penetrare nei lussuosi corridoi e nelle stanze della casa, diventando minaccia interna per la ricca miliardaria e Keegan. Il pericolo per l'incolumità del testimone da esterno si fa ora ravvcinato, mette in crisi l'apparente sicurezza della fortezza d'oro di Manhattan. Eppure capovolgendo il punto di vista, Scott contemporaneamente sottolinea come la consistenza barocca e sconfinata della casa della donna diventi insidia per il sicario stesso, che disorientato finisce con il comportarsi come un soldato in terra nemica. Infatti è Keegan ad aver la meglio nello scontro a fuoco, proprio grazie alla sua conoscenza dello spazio chiuso, del "campo di battaglia" che diventa il primo alleato del detective. Chi protegge il testimone è però, principalmente, un film che parla di due mondi. Il primo composto dall'upper class newyorkese, il secondo dalla classe popolare americana dei poliziotti e le loro famiglie. La relazione sentimentale tra la testimone Claire e il detective Mike è il cortocircuito elettrico che unisce due emisferi profondamente diversi, segnati da un divario sociale e culturale profondo che lo stesso autore si impone di evidenziare, concentrandosi ripetutamente su differenti registri estetici di rappresentazione. Interessante è il fatto che i due amanti compiano percorsi opposti e allo stesso tempo complementari. Keegan (che, nelle sue sortite nell'alta società quale accompagnatore di Claire, diventa subito attrazione erotica di aristocratiche miliardarie, le quali vedono in lui l'esemplare esotico di un universo sociale a loro estraneo) porta a compimento un percorso ascensionale che trova la sua rapprsentazione ideale negli spostamenti verso l'alto (ovvero verso l'appartamento della donna) da lui compiuti in ascensore. Al contrario Claire è costretta almeno in un paio di occasioni a scendere nell'entroterra minaccioso dei "piani bassi". Non è un caso che l'omicidio di cui è testimone avvenga proprio nei sotterranei di un locale notturno, a sottolineare una perdita di controllo logistico del personaggio che, infatti, scoperto dal killer, può trovare riparo solamente ritornando in alto per mezzo, anche in questo caso, di un ascensore. Allo stesso tempo quando Venza, nel finale del film, decide di prendere in ostaggio la famiglia di Keegan, Claire è costretta ancora una volta a compiere un percorso dall'alto verso il basso, che nel suo caso significa metaforicamente lasciare l'Upper East Side per entrare nel Queens e venire finalmente a contatto con l'ambiente di Mike. Per parte sua Scott ci presenta le sue due New York agendo su una differenziazione visiva dichiarata già nel prologo. Da un lato abbiamo la festa di compleanno di casa Keegan, carica di condivisione proletaria e di un'illuminazione diffusa e calda che accoglie lo spettatore nell'intimità di una comunità umile, legata da affetti profondi (non solo il rapporto di Mike con Elllie, ma anche del primo con i suoi colleghi poliziotti e di Ellie con le mogli di questi). Dall'altro la fastosità percussiva e vagamente kitsch del mondo di Claire, che il "regista di pubblicità" Scott si sbizzarrisce a raccontare con fasci di luce ora accecanti ora smorzati nella penombra di locali notturni affollati, immersi nel caos. Questa contrapposizione riguarda non solo gli stili di ripresa e il decòr, ma anche la componente musicale. La separazione tra borghesia e proletariato vede infatti una consequenziale identificazione in musica alta e musica bassa che, con inclinazioni spesso didascaliche, accompagnano le immagini dei due mondi. Sono soprattutto sequenze ambientate nell'appartamento dell'Upper East Side di Claire a essere contraddistinte da un uso reiterato di materiale musicale classico, la cui fonte è spesso diegetica, mentre le immagini domestiche del Queens sono affidate a brani popolari di musica rock e blues. Il compito di tessere le fila di questo congiungimento impossibile spetta allora, paradossalmente, al villain. Venza è la particella impazzita che lega questi due mondi di per sè inconciliabili. Killer psicopatico fuori controllo ma anche uomo d'affari con amicizie importanti, è il demone capace di penetrare con la stessa facilità negli ambienti eleganti del Guggenheim Museum come nei modesti appartamenti urbani del Queens, quasi avesse il dono dell'invisibilità. Egli è il fuorilegge noto a tutti ma contro il quale, proprio per la sua natura borderline, istituzioni e protagonisti paiono impotenti. La gratuità con la quale uccide l'ex socio è la stessa che lo spinge a minacciare apertamente la donna nella toilette del Guggenheim o a prendere in ostaggio la famiglia di Mike: reazioni illogiche e selvagge che la società razionalmente (ed economicamente) strutturata del film di Scott non riesce ad arginare. Venza ha l'imprevedibilità dell'anticonformista: è il germe che mette in crisi il sistema. Inseguito da Mike dopo aver minacciato Claire, trova la lucidità di costituirsi, riuscendo successivamente a godere di un cavillo legale (Keegan non gli legge i diritti) che gli permettte di uscire di prigione a piede libero. Proprio grazie all'oscura forza motrice di Venza, implicitamente i due mondi di New York entrano in contatto. Risulta perciò inevitabile come l'unica soluzione affinché l'equilibrio sociale torni al suo stato iniziale sia l'espulsione di Venza. La sua eliminazione è la condizione necessaria per tornare a una divisione delle classi, a una definitiva separazione dei mondi, a un riassestamento. Con la morte di Venza (ucciso non a caso da Ellie, ovvero dall'elemento drammaturgico che ha maggiormente patito la mescolanza sociale e sentimentale innescata dal killer) Mike alla fine della pellicola può tornare ad abbracciare il calore della sua famiglia, lasciando Claire all'esistenza privilegiata dei quartieri alti. In tal senso Chi protegge il testimone racconta davvero il fallimento della mescolanza sociale, chiudendosi nella rassicurante (e sottilmente inquietante) stasi di mondi che possono solo guardarsi a distanza.
Scott dirige quindi una storia di per sè non molto originale, un soggetto che in altre mani sarebbe finito per diventare un film mediocre, ma grazie alla messa in scena che diventa essa stessa centro tematico, a delle buone sequenze di suspence sapientemente distribuite e a un gruppo di attori ben diretti, che danno ottime prove spesso recitando più con lo sguardo che con i dialoghi, il regista inglese riesce ad arginare alcune leggerezze della sceneggiatura e a confezionare un poliziesco sentimentale interessante e godibile, con ottime idee e una realizzazione sempre impeccabile.
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