Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
L'odio e l'orrore presentati in un salotto borghese, e rivestiti di un velo etereo, che ne copre gli acuti drammatici, e ci restituisce solo l'immagine di funereo grigiore. I protagonisti sono vivi, eppure sono morti, perché esangue è la loro esistenza, che è stata svuotata di ogni calore affettivo, di ogni spessore morale. Sono le tetre maschere di una saga wagneriana, di quel "crepuscolo degli dei" che è citato nel titolo orginale del film. La pellicola è dominata da un'atmosfera rarefatta, che è quasi ultraterrena nella sua irreale freddezza, in cui anche un sentimento rovente come l'"odio giovane" di Gunther è destinato, secondo l'invito dell'ufficiale delle SS Achenbach, ad essere "amministrato" come un tesoro, incanalato in un razionale piano di morte e distruzione programmate. La mostruosità è rappresentata, per una volta, non come un essere a sette teste e cento braccia, ma, al contrario, come un fantasma, un individuo la cui anima è divenuta inconsistente, perché priva di ogni residuo di umanità. Un capolavoro unico e irripetibile.
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