Regia di David Lowery vedi scheda film
Un piccolo grande film, malinconico senza ruffianerie, dove splendono per l’ultima volta le stelle di Robert Redford e Sissy Spacek.
La vera storia, leggermente romanzata, di un incallito fuorilegge operante nell’America di qualche decennio fa, Forrest Tucker, evasore e rapinatore di banca seriale, ma sempre con modi da gentiluomo che disorientavano e incantavano le stesse vittime. Il film si concentra sugli eventi del 1981, quando il sessantenne Forrest (nel film è invecchiato di una decina d’anni), reduce dalla sedicesima evasione, compie – da solo o con due complici coetanei - un numero incredibile di rapine, vanamente inseguito dalla non efficentissima polizia locale; ci vorrà l’FBI per metterlo all’angolo. E in tutto questo l’affascinante Forrest trova anche il tempo di ritrovare l’amore…
Ero prevenuto in base ai commenti letti, chissà che delusione, giusto perchè c’è Redford… No, questo è un signor film. Non perchè sia perfetto, nè perchè abbia momenti altissimi, ma perchè è imprevedibile, atipico, come il suo personaggio. Tucker ha trascorso la vita a delinquere fin da ragazzo (se la memoria non m’inganna, lo stesso Redford ha avuto un’adolescenza turbolenta), non tanto per ragioni materiali, ma perchè spinto da una sete di avventura inestinguibile: come dice il suo avvocato, non vuole guadagnarsi da vivere, vuole vivere. L’adrenalina di una vita spericolata è un’esperienza per lui irrinunciabile, nemmeno il suo ultimo amore riesce a ingabbiarlo, Forrest la testa a posto non la metterà mai. Lo aiuta in quest’avventura una buona dose di fortuna, e lo spirito poco tecnologico dell’epoca, in cui eravamo lontanissimi dalle atmosfere da Grande Fratello dei nostri giorni. E’ davvero una storia di altri tempi, per certi versi anche più lontani degli anni 80: la sequenza di rapine, le fughe, gli inseguimenti, ricordano molto le atmosfere del Far West, tanto più che non siamo nella “solita” America cinematografica, quella costiera, ma nel Paese profondo, fatto di piccole città e distese verdi. Il regista stesso suggerisce apertamente il parallelo mostrando en passant sequenze di western che passano in televisione; e poi l’ambientazione campestre di non poche scene, i cavalli della sua Jewel, non sono certo lì per caso.
Il film è cucito su misura per l’ottantaduenne Robert Redford, che annuncia con questo il suo addio al cinema. Nella sua generazione ci sono stati attori più talentuosi di lui (molti), più professionali (pochi), più affascinanti (pochissimi, almeno a sentire le signore), ma la combinazione di questi fattori ne ha fatto un divo capace di restare sulla breccia per 60 anni, aiutato anche da un’intelligenza e un istinto non comuni, che raramente gli hanno fatto sbagliare un film (se fosse un calciatore, diremmo: un giocatore completo). La stessa intelligenza che gli fa mostrare senza problemi tutte le sue rughe, sapendo che il suo pubblico lo amerà lo stesso per l’uomo che pensiamo ci sia dietro quel volto. Da applausi. Al suo fianco figura benissimo Sissy Spacek, anche lei probabilmente al suo ultimo film, protagonista di una stagione ormai lontana, ma sempre carina, dolce e forte al tempo stesso. Il film non sarebbe lo stesso senza di lei. Il punto dolente semmai è il detective di Casey Affleck. Non che sia un attore mediocre, ma il suo personaggio ha qualcosa di stonato: ha molto spazio, ma in concreto cosa combina? Non sarà lui a catturarlo, neanche ci va vicino, forse nemmeno lo vuole catturare (lo intuisce perfino la sua bambina), è un uomo comune di scarso carisma, lontanissimo dallo stereotipo del poliziotto - cacciatore, è più un testimone dei fatti che un vero antagonista. E concordo con chi ha deprecato il suo doppiaggio, con tutto il rispetto.
E’ un film doppiamente malinconico, dove diamo l’addio a un mondo che non tornerà più e a due attori amati che ci stanno lasciando, almeno professionalmente. Mi domando se fra mezzo secolo i nostri ragazzi potranno guardare con la stessa nostalgia e riconoscenza ai divi giovani di oggi, se l’arte del cinema parlerà ancora alla testa e al cuore delle persone, o se tutto sarà ridotto a un blob dove nessuno distinguerà più un grande attore da un divo da social. Ho paura che quel momento stia già arrivando. Per questo: grazie, Robert.
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