Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
A seguito dell'aggressione di una misteriosa donna vampiro, una giovane studentessa di filosofia newyorkese inizia a sviluppare una strana dipendenza dalla violenza e dalla sete di sangue che la porta ad elaborare la personale teoria di una tesi di laurea fondata sul nichilismo e sulla irredimibile malvagità della natura umana. Quando il contagio che ha contribuito a diffondere tra la cerchia delle sue amicizie e frequentazioni universitarie culmina nella insostenibile violenza di un'orgia sanguinaria durante la sua festa di laurea, inizia per lei un percorso di pentimento e di redenzione che la condurrà a confessarsi e consacrarsi a Dio sul suo letto di morte.
Ultimo della sua cosidetta trilogia del peccato (anche se le tematiche care a Ferrara sono disseminate un pò in tutta la sua produzione), questo livido horror metropolitano persegue le ambizioni filosofeggianti di un cinema che guarda alla trasgressione ed alla redenzione attraverso un sistema di categorie gnoseologiche che inquadrano la natura umana come un elemento indipendente e autonomo dal significato materiale dei processi storici, trascendendola e riducendola alla dimensione fondamentalmente malvagia dell'affermazione individuale. Lontano dallo psicologismo yuppie di un'alienazione metropolitana ai tempi del reaganismo ('Stress da vampiro' - 1988 - Robert Bierman) e più prossimo alle speculazioni antropologiche di derivazione 'Cronenberghiana' ('Rabid - Sete di Sangue' - 1976) piuttosto che a quelle 'from the bloks' dei suoi film precedenti ('Il cattivo tenente' - 1992), Ferrara indugia sul repertorio simbolico e letterario di un immaginario vampiresco in trasferta newyorkese (fotofobia, avversione al sacro, sensualità, trofismo ematico, etc.) attraverso l'itinerario umanistico e intellettuale di una tesi di laurea che prova a speculare tanto sul valore storico delle responsabilità collettive (la guerra in Vietnam, Pol Pot come l'Olocausto sono gli esempi da cineteca degli orrori) quanto sulla istintiva aggressività della natura umana, in cui la violenza è lo strumento attraverso cui perseguire l'affermazione del sè attraverso l'annientamento dell'altro.
Coerentemente con il retroterra sociale e culturale in cui ambienta il suo thriller metafisico, il regista italo-americano ci presenta il dilagare di una pandemia inferica attraverso il diffondersi di un contagio vampiresco in cui la dipendenza dal sangue, al pari di una qualunque tossicodipendenza, soddisfa tanto il bisogno che discende dalla natura violenta del male quanto ne garantisce la diffusione senza limiti nel mondo, alimentando quei processi di prevaricazione superomistica che sono alla base di una concezione nichilista dei processi storici. Pur appesantito da queste speculazioni filosofiche e dal citazionismo a volte sproloquiante di Nicholas St. John ('Ho sentito il vento delle ali della follia' - Baudelaire), Ferrara riesce a dare una prova di ammirevole rigore nel condurre una materia incandescente e rischiosa come questa attraverso le forche caudine di un finale debordante, tra orge vampiresce senza sprezzo del ridicolo e il geniale stratagemma di un suicidio assistito che, aggirando l'ingloriosa e materiale fine di un'aspirante Nosferatu in gonnella, si riconverte al rituale sacramentale della comunione cristiana. Mandando il diavolo (che è in noi) al creatore,si sa, non ci resta che ascendere ad una gloria celeste che finisce per tradire la immendabile malvagità della natura terrestre ('L'autoconoscenza è la distruzione del sè').
The Addiction (1995): Lili Taylor e Annabella Sciorra
The Addiction (1995): Christopher Walken e Lili Taylor
The Addiction (1995): Una scena del film
Ottima prova della Taylor premiata alla Settimana internazionale del Cinema Fantastico di Malaga e nomination all'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1995 per Abel Ferrara.
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