Regia di Giuseppe Fatigati vedi scheda film
Un uomo esce di galera dopo vent’anni, per un delitto d’onore, e va subito a cercare la figlia, cresciuta con i genitori adottivi e ignara del passato paterno. Il compositore Ruggero Leoncavallo viene a conoscenza della storia e decide di scrivere l’opera I pagliacci.
Dopo un’intensa gavetta come montatore, Giuseppe Fatigati coglie l’occasione per passare dietro la macchina da presa nel corso della seconda guerra mondiale; dirige prima Tre ragazze viennesi (1942) insieme all’austriaco Hubert Marischka e quindi, in solitaria, questa interessante versione de I pagliacci (1943) di Ruggero Leoncavallo, per chiudere la sua carriera registica tre anni più tardi con un’altra pellicola, seppure con una sceneggiatura originale, ambientata nel mondo della lirica: Voglio bene solo a te. Di questi Pagliacci va lodata la tessitura in fase di scrittura (copione a firma Giulio Cesare Viola e Harald Bratt) che ricompone le vicende della stesura dell’opera in parallelo allo svolgimento della stessa, con tanto di sequenze liriche in alternanza ad altre, la maggior parte, parlate e prive di musica. Al netto di una buona dose di retorica, si tratta di un valido tentativo di raccontare qualcosa di più su un’opera nota al grande pubblico, ma soltanto in maniera superficiale; per uno scopo del genere la presenza del tenore-divo Beniamino Gigli al centro del cast è assolutamente fondamentale. Al suo fianco, tra gli altri, Alida Valli, Carlo Romano e Paul Horbiger. In una particina c’è anche un ragazzino accreditato come Tao Ferrari: la sua carriera da adulto sarà piuttosto luminosa, con il suo vero nome e cioè Paolo. 4,5/10.
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