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Crash

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Crash

di ed wood
8 stelle

Opera rischiosa, controversa, dimenticata. Sempre sull'orlo del ridicolo, "Crash" chiede allo spettatore un'apertura mentale che va ben oltre la normale "sospensione dell'incredulità". Che dire di un film condotto su dinamiche psicologiche da porno-soft, con la piccola variante che desiderio, attrazione, eccitazione, amplesso coinvolgono liberamente non solo esseri umani ma anche automobili incidentate?! Si direbbe niente più che una bizzarra perversione, con tutti i suoi immancabili risvolti di feticismo e voyeurismo, se non fosse che dietro la mdp c'è David Cronenberg, ossia uno dei pochi registi che avrebbe potuto vincere una scommessa così impegnativa. Ci aveva (e ci avrebbe in seguito) provato altre volte, con esiti discutibili: "Il pasto nudo" e "Cosmopolis" rappresentano due autorevoli fallimenti  nel tentativo impervio di approcciarsi ad una materia (anti-)narrativa esplicitamente visionaria (Borroughs) o teorica (De Lillo). Con Ballard va decisamente meglio, forse perchè in fondo la tematica è puramente cronenberghiana, laddove negli altri due film citati c'è tutto un discorso fondato sul potere della parola e del linguaggio (in un caso letterario; nell'altro finanziario) che, a mio parere, resta piuttosto lontano dai reali interessi del regista canadese. "Crash" riprende, sviluppa, porta all'estremo (anche nella forma filmica) le principali ossessioni del cinema di Cronenberg: il concetto post-umano di "nuova carne", dove le persone si ibridano alla materia inerte, che così può rinascere in un nuovo organismo; l'ampliamento dei concetti di carnalità e sessualità, studiati da una rigorosa prospettiva tecno-andro-ginecologica che in un'ottica futuristica si presenta come credibile; la rappresentazione di una realtà come stato mentale alterato, più che da droghe o fantasie, dal cervello stesso, dalle sue mutazioni ed aberrazioni; la diffusione, subdola ma inarrestabile come un virus, a livello capillare del nuovo paradigma fisico/erotico; la visione materialista della vita, per la quale il cambiamento comporta necessariamente una lancinante sofferenza che non ammette scappatoie mistiche o trascendenti. Cronenberg conduce questo discorso sui binari di una placida, quasi rassegnata, ineluttabile discesa verso un abisso di disumanità (o salita verso un grado superiore di coscienza, funzionalità corporea, soddisfazione, piacere? o forse, semplicemente, evoluzione verso un diverso stato delle cose?), non priva di passi falsi, forzature, momenti opachi. Questi ultimi, in verità inattesi in un film così "strano", attestano invece l'onestà intellettuale di Cronenberg, la sua convinzione nel voler definire come plausibile il suo anomalo teorema sessuale. Non ci sono colpi bassi, eccessi fini a se stessi: lo sguardo di Cronenberg è sempre quello limpido, oggettivo, attento, analitico, clinico di chi, date delle ipotesi (per quanto irreali), ricava una dimostrazione. "Crash" non si presta a letture politiche o sociologiche, ma si attiene ad una prospettiva puramente biologica ed antropologica. Certo, la fascinazione per gli incidenti stradali, per le macchine accartocciate (i cui sfregi si rispecchiano nelle cicatrici della pelle umana), per la dinamica degli scontri, per i vetri rotti, il sangue, la carne spappolata e gli sguardi sotto-shock evidenzia la vena autodistruttiva, sadica, perversa e malefica dell'uomo "civilizzato"; eppure non sono tanto la critica alla civiltà delle macchine e il paradosso di una tecnologia aberrante, che uccide anzichè salvare, ad essere sviscerate da Cronenberg, quanto l'impura, lacerata mutazione del desiderio e dello sguardo sulle cose, l'erotizzazione di qualsiasi corpo, materia o movimento, a prescindere dalle implicazioni etiche. Più che adagiarsi nelle secchie dell'operetta "amorale", "Crash" postula una ipotesi su una possibile, imminente etica dell'umano-macchina pan-sessuale, dove l'unico limite alla sperimentazione dei sensi è costituito dalla morte. Cronenberg azzecca un tono nella direzione degli interpreti (alcuni carismatici, altri semplici modelli/e) che li pone non tanto come cavie lobotomizzate, ma come curiosi e consapevoli indagatori di una sessualità e una (post-)umanità tutta da scoprire; accarezza corpi e lamiere con la stessa sensualità; orchestra carrelli che contemplano natura ed artificio sullo stesso livello; compone sequenze di dettagli anatomici e meccanici che si compenetrano attraverso raccordi di montaggio; ridefinisce psicologie e comportamenti con una coerenza interna implacabile; adotta una narrazione "debole", senza però mai perdere di vista l'obiettivo. Per alcuni indifendibile, per altri geniale, "Crash" è un film-saggio così disinvolto, coraggioso e avveniristico da anticipare diverse tendenze del decennio successivo: un esempio per tutti, le manipolazioni del corpo e del desiderio operate da Kim Ki-Duk. 

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